L’esito di ieri era atteso, dopo l’appello-bis di Milano del 25 luglio 2015. In quel processo, scaturito dall’annullamento della Cassazione delle assoluzioni pronunciate in appello a Brescia nell’aprile 2012, emerse in modo incontestabile come Maurizio Tramonte di Ordine nuovo, al contempo informatore del Sid (il Servizio informazioni difesa) con il nome in codice di “Tritone”, avesse partecipato, la sera del 25 maggio, alla riunione di Ordine nuovo ad Abano Terme, tenutasi, sotto la guida di Carlo Maria Maggi in preparazione della strage. Da qui la presenza dello stesso Tramonte in piazza Della Loggia la mattina del 28 maggio 1974. Le testimonianze di alcuni detenuti, che avevano condiviso con lui, tra il 2001 e il 2003, lo stesso carcere, erano state decisive. Due di questi avevano riferito delle confidenze dello stesso in ordine alla sua presenza in piazza al momento dello scoppio della bomba. Presenza confermata da una foto scattata pochi istanti dopo la strage.

La sentenza emessa l’altra notte riguardava l’ultima tappa di una vicenda giudiziaria lunga ben 43 anni. Dopo il primo grado di giudizio del 2 giugno 1979, in cui la Corte d’assise di Brescia condannò all’ergastolo il neofascista Ermanno Buzzi, seguirono solo assoluzioni. Non migliore fortuna ebbe la seconda inchiesta apertasi nel marzo 1984 nei confronti di altri estremisti di destra: Cesare Ferri, Alessandro Stepanoff e Sergio Latini. Vennero tutti assolti tra il 1987 e il 1989. Bisognerà attendere il 1993 per l’avvio di nuove indagini quando si scoprì che alcuni appunti riservati del Sid, inizialmente anonimi, provenivano dalla fonte “Tritone”, alias Maurizio Tramonte, ex-ordinovista di Padova, collaboratore del Sid dal 1972 al 1975. In una relazione in cui si erano riassunte tutte queste informazioni, stilata il 6 luglio 1974 dal maresciallo dei carabinieri Fulvio Felli del controspionaggio di Padova, si venne a sapere che ancor prima della strage si erano tenute riunioni di Ordine nuovo con Carlo Maria Maggi. Fu lì che si decise la messa a punto di una strategia volta a provocare attentati e stragi per «abbattere il sistema». Maurizio Tramonte venne tratto in arresto il 5 luglio 2001.

Saranno alla fine le deposizioni di Carlo Digilio, l’armiere del gruppo (deceduto nel 2005), unite a quelle di Maurizio Tramonte, a far decollare l’istruttoria. Con l’accusa di concorso in strage, il 4 ottobre 2007, la procura di Brescia chiese il rinvio a giudizio di Delfo Zorzi, all’epoca a capo della cellula di Ordine nuovo di Mestre, oggi cittadino giapponese; di Carlo Maria Maggi, il “reggente” di Ordine nuovo nel Triveneto; di Maurizio Tramonte e di Pino Rauti, il fondatore di Ordine nuovo; dell’ex generale dei carabinieri Francesco Delfino, comandante del Nucleo investigativo di Brescia, e di Giovanni Maifredi, già coinvolto nelle vicende eversive del Mar di Fumagalli. Il 25 novembre ebbe così inizio il nono processo. Si concluse il 16 novembre 2010 con l’assoluzione di tutti i cinque imputati. Sentenza confermata in appello il 14 aprile 2012.

La corte di Cassazione il 21 febbraio 2014 valutò con parole durissime l’operato dei giudici di secondo grado, definendo la sentenza mossa da «un’esasperata opera di segmentazione del quadro complessivo», tesa «alla ricerca ogni volta di un possibile ma improbabile significato», spesso «astruso». Da qui l’appello-bis di fronte a una nuova corte a Milano. Due sono ora gli stralci di indagine ancora aperti. Uno dalla Procura dei minori in cui si fa il nome di un altro ordinovista, Marco Toffaloni, un veronese all’epoca minorenne, ora in Svizzera con un’altra identità. L’altro riguarderebbe invece un notissimo dirigente sempre di Ordine nuovo. Entrambe le piste porterebbero nuovamente in Veneto e sarebbero compatibili con la sentenza appena emessa.
Restano ancora sullo sfondo le responsabilità dello Stato e dei suoi apparati, ma il lavoro degli inquirenti non è ancora finito. Intanto, Maurizio Tramonte, resosi irreperibile prima della sentenza, è stato arrestato a Fatima in Portogallo. Una fuga durata poche ore.