«I numeri che abbiamo noi sono quelli dell’Agenzia di tutela della Salute, ovvero di chi muore nelle strutture ospedaliere o nelle residenze sanitarie assistenziali con diagnosi di Covid. Quello che noi non sappiamo è quanti dei deceduti a casa sono morti per Covid» – sostiene Donatella Albini, dottoressa prima e poi consigliera comunale con delega alla salute per il Comune di Brescia – «quindi i numeri forniti dalla regione sono sottostimati perché manca questo dato». Una conferma di quanto sostenuto da Claudio Sileo, il direttore generale di Ats Brescia, che ha dichiarato «oltre ai decessi ufficiali riteniamo ce ne siano tra i 30 e i 50 in più al giorno, si tratta di persone alle quali non è stato fatto il tampone». Secondo i calcoli di Ats Brescia i morti sarebbero quindi 700 in più rispetto ai 1.114 dichiarati. Albini spiega che il Comune sta «confrontando i dati di mortalità, nello stesso periodo di tempo, rispetto agli ultimi anni, con una divisione per fasce d’età. L’età media di mortalità è 80-81 anni. Il più giovane aveva 60 anni, il più anziano 98». Secondo l’assessora, «si deve fare il tampone a tutti coloro che sono in sorveglianza attiva, ovvero coloro che sono entrati in contatto diretto con chi è affetto dal virus e con i deceduti a domicilio, senza certezza, ma con sospetto clinico robusto di Covid-19, questi sono di fatto tutti diffusori inconsapevoli, senza alcun controllo».

I capigruppo bresciani hanno scritto una lettera congiunta al presidente del consiglio, della regione e al prefetto dove chiedono l’apertura di un ospedale Covid, che permetta quindi di far riprendere all’ospedale della città, poco a poco, le sue normali funzioni di cura di tutte le patologie, utilizzando operatori non della stessa struttura ma quelli promessi già 15 giorni fa dalla protezione civile. Si chiede inoltre assistenza domiciliare sanitaria in stretta collaborazione con i medici di base come da protocollo stilato in settimana da Ats, oltre a tamponi per tutto il personale sanitario e per i lavoratori delle attività essenziali, e l’acquisto e la messa a disposizione del personale medico dei dispositivi di protezione individuale.

Albini ricorda che mentre «a Bergamo e Crema sono stati eretti ospedali da campo e a Milano è stato previsto l’ospedale di sollievo in zona Fiera, a Brescia nulla. Capisco che non c’è stato nessun piano, un non governo della gestione in regione Lombardia ma dentro il non governo Brescia è stata ancora più trascurata nonostante il grande lavoro quotidiano con Ats e con le strutture sanitarie. Il problema è proprio quello di un governo a livello superiore, sicuramente la Regione Lombardia e, non so se prima, anche il governo nazionale. Ci vorrebbe una deroga dalle linee guida dell’Iss per Brescia, sull’esempio di Emilia Romagna e Veneto, che hanno avuto il coraggio e la forza di sperimentare una gestione differente dei tamponi che ha permesso di identificare i diffusori inconsapevoli. Tant’è che in queste due regioni i contagi sono più bassi».

Nonostante venerdì il numero dei guariti tra città e provincia (496) abbia superato quello dei nuovi contagiati (401) la pressione delle strutture ospedaliere resta elevata «tutti gli ospedali della provincia, a parte sale parto e attività coronariche, sono dedicati all’epidemia. L’Ospedale Civile di Brescia e la struttura convenzionata Poliambulanza restano hub per cardiochirurgia, neurochirurgia, e i problemi vascolari per il resto anche qui tutto dedicato ai malati coronavirus. Servono saturimetri e respiratori non invasivi per i malati più lievi, occorre curarli adeguatamente a casa, e se possibile evitare il ricovero in ospedale. Per i respiratori non invasivi, difficili da trovare in Italia, servirebbe l’attivazione della protezione civile coordinata con la Regione».