Per sessantaquattro voti in più. Sono (sembrano) un’inezia, eppure il risicato vantaggio del candidato del centrosinistra Emilio Del Bono (38,8%) dovrebbe tradursi in una probabile vittoria sul sindaco uscente del centrodestra Adriano Paroli (38,01%). A meno che i bresciani decidano improvvisamente di tornare in massa alle urne, dopo aver disertato il primo turno delle elezioni che potrebbero ribaltare la situazione in uno dei tradizionali feudi della Lega e del centrodestra in Lombardia (due settimane fa l’affluenza è crollata di venti punti percentuali passando dall’85 a 65%).

Logico che in città in queste ultime ore il clima sia avvelenato, con accuse di reciproche scorrettezze tra i due sfidanti. Sondaggi sospetti con annessi insulti telefonici, volantini contestati, affissioni coperte, plateali scortesie nei dibattiti televisivi e slogan alla Berlusconi nel tentativo di risalire la china: “Via le tasse per due anni a chi assume”, ha promesso il ciellino Adriano Paroli che ieri ha anche annunciato i nomi della sua giunta in caso di vittoria.

Se il sindaco uscente agita l’anticomunismo dicendo che non farà mai sventolare “bandiere rosse su piazza della Loggia” (Brescia del resto ha sempre avuto il midollo ostinatamente democristiano), lo sfidante Emilio Del Bono rivolge appelli “per voltare pagina dopo cinque anni condotti da una delle peggiori amministrazioni che Brescia abbia mai avuto”. Ovviamente non si tratta di una bega personale tra i due contendenti. Brescia è pur sempre il secondo comune della Lombardia con quasi duecentomila abitanti, una delle città più industrializzate d’Italia, e per la traballante alleanza Lega & Pdl una clamorosa sconfitta da queste parti potrebbe anche avere ripercussioni pesanti sia a livello locale (in Regione Lombardia) che nazionale (dove la Lega ha quasi sempre buon gioco ad alzare i toni contro il governo delle larghe intese).

Il candidato del centrosinistra parte favorito in virtù dell’accordo delle ultime ore con l’ex socialista Laura Castelletti, che porta in dote un non trascurabile 7% dei voti. In più, è altamente improbabile che gli elettori che al primo turno hanno scelto l’M5S e una lista civica (un altro 15% dei voti) domani si orientino verso il centrodestra. Comunque vada a finire, è evidente che Pd e Pdl cercheranno di capitalizzare al massimo il risultato bresciano, soprattutto per accreditare l’ipotesi – piuttosto inconsistente – di una ripresa nelle regioni del nord Italia (nonostante percentuali di voto mai così basse nella storia della Repubblica).

Il Pd, per dare man forte ad Emilio Del Bono, negli ultimi giorni di campagna elettorale ha spedito a Brescia Matteo Renzi, un tipo rassicurante proprio perché poco di sinistra (infatti è stato accolto come una specie di star). Lui ha recitato la sua parte di sempre, chiedendo ai cittadini di darsi da fare per convincere anche gli elettori di centrodestra a cambiare partito – “altrimenti non vinceremo mai”; ma ha anche aperto allo “ius soli”, proprio nella città con la più alta concentrazione di popolazione straniera residente, molto integrata sia nel mondo del lavoro che nel sistema scolastico.

Il Pdl, invece, dopo il poco glorioso comizio pre elettorale di Silvio Berlusconi, ha sguinzagliato in quel di Brescia Flavio Tosi, il sindaco veronese titolare del “modello” che porta il suo nome, forse l’unico politico che oggi come oggi non fa venire l’orticaria all’elettore medio del centrodestra. Ma è difficile che sia sufficiente per riportare alle urne l’elettorato di Pdl & Lega, storicamente poco incline a frequentare le urne quando non si scatena il grande capo Silvio Berlusconi, tanto più in un secondo turno piuttosto svogliato.