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Brenda Navarro, sogni rimandati di anime migranti, con drammatico ritorno a casa

Brenda Navarro, sogni rimandati di anime migranti, con drammatico ritorno a casa

Scrittrici messicane «Cenere in bocca», da La Nuova Frontiera

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 19 novembre 2023

Una biblioteca sulla narrativa che riguardi i migranti dovrebbe aggiungere un cospicuo numero di scaffali ogni anno, tanto che è difficile scriverne ancora senza provocare saturazione. In apparenza, anche il secondo romanzo della messicana Brenda Navarro, Cenere in bocca (traduzione di Gina Maneri, La Nuova Frontiera, pp. € 17,90) appartiene a quel catalogo: la voce narrante è infatti quella di una ragazza messicana, che insieme alla famiglia, composta dalla madre e da un fratello, si trasferisce a Madrid alla ricerca di una vita migliore. Mentre la madre cerca in tutti i modi di  sopravvivere, i due figli non si integrano in una città che da parte sua fa’ di tutto per rifiutarli, tanto che alla fine il fratello decide di suicidarsi. La notizia di questa morte apre e chiude il romanzo, conferendogli un andamento circolare, primo segno di una insolita  coniugazione del tema della migrazione, che evita i consueti – per quanto sempre drammatici ­–corollari (xenofobia, sfruttamento del lavoro, violenza). Brenda Navarro collega infatti questa prospettiva a un panorama più largo, che si fa esplicito quando la giovane protagonista torna in Messico per riportare ai nonni le ceneri del fratello. Il paese che la accoglie è devastato da una sequela di morti violente, di fronte alle quali tutti rimangono impotenti, e nella spirale viene  travolta anche la sua famiglia. Nel racconto del  ritorno della protagonista il ritmo della narrazione accelera, gli eventi precipitano e la ragazza è costretta a ritornare in Spagna, portandosi dietro la scia di sangue e di dolore derivata dai tanti e giovani amici perduti. Nel capitolo finale, dove di nuovo incontriamo il tema della migrazione, questa si è fatta  «spazio dell’assenza», non-luogo in cui la protagonista appare bloccata nella dimensione della perdita dalla quale non sembra poter uscire.

La scrittura di Brenda Navarro affronta una storia così dolorosa senza cadere mai nel sentimentalismo: ricorrente nei  romanzi sulla migrazione, e resa benissimo dall’attenta traduzione di Gina Maneri, la narrazione in prima persona non solo offre uno sguardo inusuale sui ragazzi coinvolti loro malgrado nei processi migratori, ma esprime, alla fin fine, anche l’impotente tentativo di comunicare le conseguenze di quell’esperienza. Alla giovane messicana non riesce di dare rappresentazione al disgregarsi della propria identità in un luogo straniero, allo smarrimento derivato dalla non appartenenza al paese di approdo, alla discriminazione, alla perdita, e la via scelta dal suo racconto si risolve, per paura di cedere ai luoghi comuni, nel silenzio.

Nelle pagine di Cenere in bocca ci si interroga in continuazione sulle scelte in sospeso, sui «sogni rimandati, che non arrivano perché c’è un incubo che ti occupa il cervello e che non  ti lascia dormire», e la giovane migrante instaura un dialogo ininterrotto con il fratello, oscillando tra crudele memoria dell’assenza e privazione senza riscatto. Fin dal titolo, il romanzo richiama il tentativo di mantenere un contatto con quel fratello perduto, del quale la protagonista sottrae una manciata delle ceneri, le mette in un sacchetto e poi se le mette in bocca. Il suo gesto, che ricorda antichi riti antropofagici, sposta l’attenzione dal lutto alla dimensione materica, e collega il romanzo  a una lunga tradizione messicana di rappresentazione della morte, che  arrivare a Rulfo e a Fuentes (per limitarsi a due autori fondamentali). Se però nelle loro pagine l’esperienza della morte rimandava a tradizioni e mitologie ancestrali, in Brenda Navarro lo spazio del mito è ormai estinto: nella stanza chiusa dalla quale la ragazza non riesce più a uscire restano solo strazio e silenzio.

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