Ha debuttato on line (su piattaforma streaming Fullscreen) The Deleted, serie in otto puntate scritta e diretta da Bret Easton Ellis, prodotta da Braxton Pope che è stato il produttore di The Canyons, presentato fuori concorso alla 70° Mostra del Cinema di Venezia nel 2013. Braxton è stato il terzo lato perfetto di quel triangolo morboso formato così da Ellis, che ha scritto il film, e Paul Schrader, che l’ha diretto. Pensando al film, si notano diversi punti di contatto, similitudini, tratti comuni, con questo nuovo The Deleted, che si pone come un naturale, disturbato fratello minore e, allo stesso tempo, un superamento, un’evoluzione di The Canyons. All’età di 21 anni Ellis aveva già scritto e pubblicato Meno di Zero (1985), sei anni più tardi, torna a scioccare il mondo letterario con American Psycho, raccontandoci le gesta del serial killer Patrick Bateman. A distanza di sedici anni questa società è sicuramente, ulteriormente, cambiata. Il consumismo raccontato nelle pagine del libro è andato incancrenendosi e la tecnologia ha alterato per sempre i modi dell’interazione sociale: siamo la generazione delle dating apps, della comunicazione geroglifica per emoji, del sesso senza senso e del voler essere piaciuti: che ci piaccia o meno. Ma allora, ha ancora senso parlare di American Psycho oggi? Il dubbio è lecito se consideriamo quella una storia costruita sulle coordinate socio-culturali del personaggio di Patrick Bateman, ovvero i non-più-tanto-ruggenti-fineanni-’80. Ecco quindi che The Deleted, in un certo senso, arriva ora come una specie di generale update del sistema operativo Ellis, aggiornandone tutti i demòni ad uso della nuova generazione internet. Nel corso dei suoi otto episodi, siamo chiamati a testimoniare la storia di un gruppo di ventenni, in fuga da una misteriosa setta che opera in una tentacolare e livida Los Angeles. Quando i fuggitivi iniziano a scomparire nel nulla uno ad uno, i superstiti rimasti dovranno stringersi in un nuovo cerchio e provare in qualche modo a fidarsi ancora l’un l’altro, riabilitandosi a comunicare come umani per tentare di sopravvivere a loro stessi e a questa loro paranoia collettiva. Incontro a Culver City Braxton Pope per parlare del progetto.

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Quando è stata la prima volta che hai discusso «The Deleted» con Bret?

La serie ha avuto una genesi interessante. Insieme a Ross Levine (socio d’affari di Braxton, ndr)] ogni volta che ci capita qualche progetto in forma di cortometraggio, quando ci troviamo a produrre un videoclip, o una pubblicità, finiamo sempre con il rivolgerci a Bret, e gli diciamo – abbiamo questa attrezzatura e queste videocamere, queste location, eccetera. A quel punto Bret scrive una piccola storia per quella location che abbiamo assicurata, e andiamo a girare. Siamo andati avanti così per un po’, finché un giorno Brett decide di alzare l’asticella: dice di avere questo concept, questa idea, questa storia in testa, e che avrebbe voluto esplorarla in un modo più strutturato e attraverso un’estetica più definita. Abbiamo quindi girato una manciata di questi episodi «più strutturati» ma ancora in totale improvvisazione e con questo materiale siamo andati da Fullscreen e abbiamo poi chiuso un accordo con loro. Essenzialmente, Bret ha potuto elaborare ed espandere quello su cui già aveva lavorato, su quello che già avevamo fatto fino a quel punto in termini di squadra.

«The Deleted» pone una questione: è realmente possibile oggi potersi cancellare da Internet, sparire?

È veramente difficile, in effetti, cancellare le proprie tracce da internet. Le nostre impronte digitali sono ovunque. È anche il paradosso del vivere ed essere soli in una città, sentirsi alla deriva dentro un mare di persone. La stessa tecnologia che ci permette di entrare in contatto, così facilmente, è anche la stessa tecnologia che ci rende alieni perché passiamo il tempo sui cellulari piuttosto che a interagire tra esseri umani.

A proposito di «vivere ed essere soli in una città», in a Lonely Place: qual è il tuo rapporto con Los Angeles?

Come tanti altri che si trasferiscono qui dal Mid-West, appena arrivi a Los Angeles ne apprezzi immediatamente alcuni aspetti, ma non ti senti mai losangelino fino in fondo.

Senz’altro Bret ha un rapporto molto speciale con questa città, anzi direi che ne è ossessionato. Ho notato che sui tuoi social media usi frequentemente l’hashtag #LAnoir: cosa vuol dire esattamente LAnoir per te?

Chinatown di Roman Polanski è probabilmente la cosa più #LAnoir per me. Per quanto riguarda il nostro show, c’è sicuramente una sorta di elemento neo-noir. L’immaginario del film noir, quello di matrice europea del dopo guerra, poggiava su almeno un paio di codici precisi: si raccontavano storie dalla sensibilità molto cupa, meditabonda e tormentata, e l’azione si svolgeva sullo sfondo di ambientazioni urbane, moderne per l’epoca. Erano film generalmente molto stilizzati, e penso che ci sia molta di quell’estetica nel nostro The Deleted, che è senz’altro una storia molto contemporanea ma, allo stesso tempo, attinge dal linguaggio classico del noir-movie in maniera abbastanza esplicita.

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Los Angeles è, in questo senso, la città noir per antonomasia: pensi che lo sia ancora, nel mondo d’oggi?

Sono stato recentemente a una lettura di James Elroy, che possiamo definire uno degli autori noir più classici. Le sue storie hanno a che fare con gli archetipi noir più tradizionali, e le sue vicende personali hanno chiaramente giocato un ruolo determinante in termini di definizione di stile nelle sue opere. Nel nostro caso i temi non sono sicuramente così classici. Detto questo però, Los Angeles è e continua ad essere una città molto incline a questo tipo di estetica. Sarà il modo in cui è organizzata, anche geograficamente. Questa forte «vibrazione noir» che passa, per contrasto, anche da questo suo essere costantemente a bagno nella luce: visivamente, è una qualità unica e molto interessante. Bret voleva descrivere un senso di isolamento, voleva esprimere questo vuoto, questa solitudine, questa disforia urbana. Per questo motivo ci sono tanti master-shot di panorami ampi e assoluti, brevi spettacoli di luce, attraverso la città e fra gli spazi vuoti dentro i Canyon. Allo stesso modo in cui i nostri personaggi si rincorrono, si trovano o si mancano, soffrono, nel tentativo disperato di mantenere viva una connessione umana.

Possiamo definire «The Deleted» un progetto low-budget?

Abbiamo girato 8 episodi nel corso di due settimane e mezzo. Ovviamente se lo avessimo girato per un premium cable il budget sarebbe stato quintuplo, nel nostro caso invece la produzione è stata sicuramente molto snella. I nostri partner a Fullscreen, che hanno finanziato e distribuito il progetto, sono stati di grande supporto e soprattutto durante la fase del marketing sono stati molto creativi. Parlando in generale, è chiaro che vuoi avere sempre più soldi. Perché significa semplicemente più risorse per riuscire a fare quello che vuoi. Con Ross Levine abbiamo dovuto chiedere molti favori e negoziare molti aspetti per riuscire a mettere in piedi la produzione che avevamo in mente, in termini di attrezzatura, di locations, come per esempio la villa sull’oceano a Malibu che è stata una location costosissima. Abbiamo sicuramente fatto cose al di là del nostro budget e ce l’abbiamo fatta anche grazie a rapporti personali che abbiamo messo in gioco. Anche questo in fondo è il lavoro del produttore.

Pensi che «The Canyons» potrebbe essere raccontato oggi nella forma serie tv come state raccontando «The Deleted»? Perché i due mondi hanno senz’altro molti punti in comune. O mi sbaglio?

Posto che si tratta probabilmente dello stesso mondo, la premessa narrativa di The Deleted permette di lavorare a un trattamento aperto su più stagioni, mentre The Canyons racconta invece una storia di per sé abbastanza finita. The Canyons potrebbe essere piuttosto una serie auto-conclusiva di una stagione sola.

Quando hai deciso di essere un produttore?

In realtà non sapevo di cosa si occupasse un produttore perché non sono cresciuto a Hollywood, ma ho sempre amato il cinema fin da bambino. Ho sempre sentito di voler essere un filmmaker di qualche tipo. Tuttavia non conoscevo il business di Hollywood, le dinamiche di Hollywood, i contatti ad Hollywood, per cui sono semplicemente venuto qui dopo il College e mi ci sono tuffato dentro. È un mestiere che mi permette di essere coinvolto in uno spettro molto ampio di espressioni di arte, il che rende la vita per me molto interessante.

https://youtu.be/TKeKjXlEQog

Come si fa il produttore oggi? Specialmente rispetto a questo ruolo anti-Hollywood che sembri esserti ritagliato all’interno dell’industria, e che mi sembra il tuo modo di essere in generale.

Sono attratto dalle storie. Bisogna sempre cercare materiale, il mio tempo lo passo a cercare storie, e credo che stia diventando sempre più difficile riuscire a fare film a meno che non ci si occupi di grossi brand, di film Marvel o DC comics, grosse proprietà, eccetera. Se vuoi concentrarti su una storia interessante, quel tipo di lavoro a livello di Studios sta quasi scomparendo, presto sarà estinto. Racimolare le finanze quindi si fa sempre più difficile, bisogna lavorare d’ingegno, bisogna sapere ascoltare gli istinti creativi, ma devi anche saper parlare con le banche, saper gestire finanziamenti. Far quadrare i conti e non creare problemi finanziari è sempre una sfida enorme quando lavori su film indipendenti, ma se credi nel cinema è davvero stimolante per lo meno provare a mettere insieme tutti gli elementi, a livello creativo e a livello finanziario, e fare in modo di far succedere le cose.

Parlando ancora di nuovi metodi dell’industria, personalmente trovo molto interessante l’idea di «casting on-line» che avete messo in pratica per «The Canyons». Come è stato invece il casting per «The Deleted»?

Oh, il casting per questa serie è stata un’esperienza bellissima. Fullscreen ci ha dato una lista di cosiddetti social media influencers. Devono soddisfare tutta una serie di criteri, un certo numero di followers, eccetera. Nash Grier è il fenomeno internet, Amanda Cerny, quasi 12 milioni di followers, Jessica Kelly,10 milioni. Il cast finale è un mix di giovani attori con formazioni tradizionali alle spalle e personalità nuove, star di youtube e social media influencers, che arrivano da esperienze di altro tipo e hanno un approccio diverso.