Nove titoli mondiali in due. E stavolta si sono date il cambio, con i tedeschi presi di mira da tifosi e critica e i verdeoro con tracce di futbol bailado e un percorso aperto verso la finale, a Mosca, il 16 luglio. Il Brasile ride, la Germania piange, è toccata duro dai media nazionali, ancora peggio da quelli internazionali, anche in Italia. Anzi, quelli carioca hanno provato a vendicare il Mineirazo, quattro anni fa, i sette gol presi dai tedeschi in semifinale a Mineiro, casa loro. I Mondiali che avrebbero dovuto vincere, e che invece li ha costretti a un lutto calcistico successivo lungo mesi, anni.

E ora, mentre Neymar jr tra una finta e una caduta, un piscinazo, come dicono gli spagnoli, ricomincia lentamente a far ridestare il popolo della Selecao, il pallone si chiede come sia possibile che il movimento calcistico – e non solo – più forte, ricco, potente in Europa, quello teutonico, abbia fallito i Mondiali con una sola vittoria in tre gare, al fotofinish contro la Svezia, con una punizione di Kroos e enormi responsabilità del portiere scandinavo. In poche parole, una brutta figura, senza appigli. E i protagonisti, calciatori e tecnici, va detto, non ne hanno cercati. L’uscita della Germania dai Mondiali fa rumore. E non solo perché ancora una volta si conferma la maledizione delle vincitrici della Coppa del Mondo precedente che regolarmente vanno a casa nel torneo successivo, avvenuto in quattro degli ultimi cinque casi – solo il Brasile vincente nel 2002 e fuori ai quarti di finale in Germania – e anche l’Italia di Marcello Lippi ha pagato dazio alla cabala.

Ma se per gli azzurri i Mondiali sudafricani, dopo il trionfo a Berlino, sono stati solo la conseguenza, l’epilogo di un percorso tecnico in discesa da quasi un decennio per il calcio italiano, impoverito in strutture, talenti, investimenti, la salute del pallone tedesco non è poi così negativa. I calciatori per il futuro ci sono – forse mancano attaccanti di valore, se il commissario tecnico Loew è stato costretto a portarsi in Russia l’ex Fiorentina Mario Gomez -, la Bundesliga procede a gonfie vele, con stadi nuovi, ecosostenibili, pieni. Con i biglietti per le partite che costano meno rispetto ad altri tornei, anche rispetto alla Serie A. E all’improvviso non sono scomparsi i centri tecnici federali sparsi per il territorio per reclutare i giovani migliori, gli investimenti della federcalcio tedesca, gli indennizzi per i club che non cedono malvolentieri i propri atleti. Né le multinazionali come Adidas, sponsor della nazionale, si sono date alla fuga.

E quindi, semplicemente, il pallone mostra che non ci sono leggi scritte, immutabili. Una nazionale forte ma demotivata, con parecchi dei top player ossidati da eccessivo impiego con i club durante la stagione da poco terminata, oppure mancanza di motivazioni dopo il trionfo di quattro anni fa, con un tecnico che ha sbagliato parecchie scelte, soprattutto le convocazioni per il torneo russo. Ecco, in sintesi, cosa è avvenuto ai tedeschi. Si è letto dello ius soli tedesco che ora non funziona più, che integrazione e multiculturalismo stavolta hanno fallito. Non è così, è una battaglia culturale persa in partenza, diritti e possibilità arricchiscono, non ostacolano. Con ogni probabilità i tedeschi torneranno ad alti livelli a Euro 2020, o ai Mondiali in Qatar, due anni dopo. Come è nella loro tradizione. Ma per ora piangono. Il calcio, come lo sport, va così. Nel frattempo, l’ultima  giornata dei gironi ha portato all’eliminazione dell’ultima squadra africana, il Senegal, sconfitto 1-0 dalla Colombia (classificatasi prima agli ottavi), e alla qualificazione agli ottavi del Giappone, sconfitta indolore (0-1) contro i polacchi già eliminati.