Romero Juca, Fabiano Silveira e ora Henrique Eduardo Alves. Dopo il ministro di Pianificazione e quello della Trasparenza, ora tocca a quello del Turismo. In Brasile, sono tre i ministri del governo Temer che hanno rassegnato le dimissioni dopo le accuse di corruzione rivoltegli da un pentito dell’inchiesta Lava Jato (la “mani pulite” brasiliana).

L’ex vicepresidente brasiliano ha preso il posto di Dilma Rousseff il 12 maggio, ostentando un governo di banchieri, imprenditori e corrotti: tutti uomini e bianchi in un paese che è a maggioranza composto da donne e afrodiscendenti. Da allora, non ha fatto che perdere pezzi. Intanto, il Senato sta portando avanti il processo di impeachment contro Rousseff, accusata di un illecito inesistente (aver “abbellito” il bilancio) di cui nessuno ha mai discusso.

Alves, che appartiene al Partito del movimento democratico brasiliano (Pmdb, il partito di Temer) è accusato di aver intascato quasi 450.000 dollari in tangenti, tra il 2008 e il 2014. Le sue dimissioni arrivano a ridosso dei Giochi olimpici di agosto e spostano un po’ più vicino a Temer la scure giudiziaria che incombe su di lui. A far tremare il sistema politico brasiliano sono le dichiarazioni di Sergio Machado, che ha direttamente chiamato in causa Temer, accusandolo di aver ricevuto denaro illecito nel 2012.

Machado è uno che la sa lunga. Nel corso della sua carriera ha ricoperto diversi incarichi politici e dirigenziali nell’industria petrolifera. Per alleggerire la sua posizione processuale, nell’ambito del grande scandalo per corruzione che coinvolge l’impresa petrolifera statale Petrobras, ha deciso di vuotare il sacco. Ha consegnato ai giudici 400 pagine di dichiarazioni che hanno messo nei guai oltre 20 politici di vari partiti.

A scuotere il governo “de facto” di Temer, sono stati soprattutto alcuni video che Machado aveva realizzato nei mesi precedenti e che documentano le manovre organizzate per realizzare il “golpe parlamentare” contro la presidente: non per liberare il paese dalla corruzione, ma per garantire ai corrotti le coperture politiche necessarie a farla franca, giacché con Rousseff non avrebbero potuto ottenerle. Nelle registrazioni, diffuse recentemente dalla stampa, compare la trama costruita dal grande tessitore occulto Eduardo Cunha, ex presidente della Camera poi sospeso dall’incarico per corruzione. A metà giugno, la commissione etica del Parlamento brasiliano ha raccomandato la sua destituzione per aver mentito su conti bancari in Svizzera non dichiarati, intestati a lui e a sua moglie.

Già il 12 aprile scorso, nella settimana precedente il voto della Camera che ha dato il via all’impeachment, Rousseff aveva denunciato l’esistenza di una video-registrazione in cui Temer dava per scontata la sua destituzione, e lo aveva accusato di essere “il capo dei cospiratori”. Temer aveva negato, come ora sta negando le accuse di corruzione. Ma il suo partito Pmdb (il più grande del Brasile per nunero di deputati e senatori, determinante nella coalizione che ha portato Rousseff alla presidenza nel 2010 e nel 2014) aveva già deciso di scaricare il Partito dei lavoratori per ottenere con l’intrigo quel che non era mai riuscito ad ottenere con le urne.

Il 29 marzo, il Pmdb ha così abbandonato la coalizione, ma Temer ha continuato a rimanere in carica per cogliere finalmente il suo momento e sperare di rimanere in carica fino al 2018: ben consapevole che, secondo diverse inchieste, solo il 2% voterebbe per lui, che il 58% dei brasiliani desidera mandarlo a processo per corruzione e il 60% chiede che se ne vada. Una richiesta che si moltiplica ogni giorno nelle piazze, sempre più decise a respingere le misure neoliberiste decise dal governo “de facto”. Intanto, a fronte degli scandali che stanno travolgendo Temer, qualche senatore annuncia che non voterà a favore dell’impeachment a Rousseff, che dovrebbe concludersi ad agosto.