Il relatore del Senato brasiliano, incaricato del processo di impeachment alla presidente Dilma Rousseff ha accorciato i tempi della procedura, e ha fissato per il 2 agosto la votazione finale. Intanto, un’altra notizia coonferma natura e interessi del “golpe parlamentare” contro la presidente. Il sito Wikileaks rivela che il ministro di Pianificazione a interim, Romero Juca figura come informatore degli Usa dal 2009 e che le alleanze istituzionali del Partito dei lavoratori erano come quelle della corda che sostiene l’impiccato. Il neoliberista Michel Temer, che sostituisce Rousseff, ha sospeso Juca dopo la diffusione di una video-intervista nella quale il ministro pianificava le tappe del “golpe parlamentare” per proteggere se stesso e i suoi dalle conseguenze dell’inchiesta Lava Jato (la “mani pulite” brasiliana). Ne abbiamo parlato con Frei Betto, storica figura dei movimenti brasiliani.

La situazione in Brasile è molto difficile. E’ la fine dei governi progressisti e del Pt?

Di fatto la situazione è molto difficile. Tuttavia non ritengo che questa sia la fine dei governi progressisti e del Pt perché Dilma non è ancora stata allontanata definitivamente. Michel Temer, che rappresenta il golpe parlamentare, il terzo avvenuto in America Latina negli ultimi tempi (il primo in Honduras, il secondo in Paraguay e il terzo ora in Brasile) deve convincere l’opinione pubblica e i senatori che il suo governo è migliore di quello di Dilma. Se questo non succede, quando Dilma sarà giudicata dal Senato e il Senato agirà in base alla pressione dell’opinione pubblica, se Temer non presenterà risultati positivi è possibile che lei torni. E spero che, in questo caso, il Pt cambi il carattere del governo: perché, fino a quando Dilma è stata allontanata, il suo secondo mandato è stato in contraddizione con il primo. Il primo è stato un mandato progressista, un mandato favorevole ai diritti popolari mentre nel secondo, per il poco tempo che è durato, Dilma ha deciso un aggiustamento fiscale che penalizzava i poveri e proteggeva i più ricchi.

 Molti, nella sinistra e nei movimenti, hanno criticato l’atteggiamento di eccessiva fiducia di Dilma nei meccanismi istituzionali per dare una soluzione positiva all’impeachment. Ma quale speranza ci può essere, vista la composizione di chi deve giudicarla e soprattutto in presenza di un piano così politico di golpe parlamentare?

Dilma non aveva altre vie d’uscita, doveva rispettare le regole istituzionali. Non poteva rispondere a un golpe con un altro golpe. Tuttavia, è rimasta vittima della sua incapacità di articolazione politica non solo nei contatti con il Congresso Nazionale: ha sempre avuto difficoltà ad entrare in relazione con deputati e senatori, ma ha anche nei rapporti con i movimenti sociali che avrebbero potuto aiutarla molto. Ha una formazione da tecnocrate, al contrario di Lula che ha un buon rapporto con le masse, ed è una persona di grande empatia politica sia nel contatto con il popolo sia nel contatto con i parlamentari. In realtà, Dilma sarà giudicata dal Senato presieduto, in quella sessione, dal Presidente della Suprema Corte del Brasile, che si chiama Supremo Tribunale Federale e il risultato dipenderà, come ho già detto, dai risultati del governo Temer. Se il governo Temer accrescerà lo scontento popolare, certamente – almeno io spero – molti senatori dovranno cambiare il loro voto. Ossia diranno che è preferibile il ritorno di Dilma piuttosto che il proseguimento del governo golpista di Michel Temer.

 Quali scenari immagina per il Brasile?

Penso che nello scenario in cui Dilma sia definitivamente allontanata, ossia subisca l’impeachment e Michel Temer resti fino al 2018, difficilmente sarà in grado di fare un governo capace di piacere all’opinione pubblica brasiliana, ovvero un governo che metta fine alla crescita della disoccupazione – ci sono già 11 milioni di persone disoccupate – e al contempo riduca l’inflazione. L’inflazione potrebbe essere ridotta ma con misure fortemente antipopolari, come il taglio di diritti previdenziali, di diritti dei lavoratori ecc. In questo caso, per quanto possa apparire paradossale io direi che Temer sarà il grande elettore di Lula nelle elezioni presidenziali del 2018. Sicuramente questo golpe mira ad evitare che Lula torni ad essere presidente. Tutti i sondaggi mostrano che Lula e Marina Silva hanno le maggiori preferenze dell’elettorato e pertanto, se Lula non morirà e se non sarà incarcerato per l’operazione Lava Jato, sicuramente vincerà le elezioni del 2018.

Qual è la sua analisi dei principali attori politici esistenti oggi sulla scena brasiliana e degli interessi che rappresentano?

In realtà la politica brasiliana è affidata al protagonismo del grande capitale. Uno degli errori del Partito dei Lavoratori, in 13 anni di governo, è stato non realizzare riforme strutturali; di fatto il partito ha realizzato programmi sociali che hanno sottratto 45 milioni di persone alla miseria, ma è un partito che è stato il padre dei poveri e la madre dei ricchi e, come sappiamo, le madri sono solitamente più generose dei padri. Traducendo questo in euro, noi abbiamo oggi 7 miliardi di euro destinati ai programmi sociali e 63 miliardi di euro destinati a favore dei grandi imprenditori, dell’agrobusiness e delle banche brasiliane.

 Il Pt ha votato una svolta a sinistra della sua politica di alleanze e di programma. Pensa che sia una cosa efficace e soprattutto, non è ormai tardi?

Io penso che il PT avrebbe dovuto seguire il cammino di Evo Morales che, quando ha assunto la presidenza, non aveva l’appoggio né del Congresso né del mercato. Morales, invece di allearsi con i partiti tradizionali della Bolivia, ha rafforzato i movimenti sociali e i leader dei movimenti sociali sono diventati deputati e senatori. Purtroppo in Brasile non è successo questo. Il PT ha preferito stabilire alleanze con i partiti tradizionali, alleanze promiscue, che hanno finito per contaminare alcuni dei suoi dirigenti, coinvolgendoli nella corruzione. Per questo oggi, al rinnovo del Congresso Nazionale, il Congresso brasiliano è diventato sempre più reazionario, occupato da rappresentanti delle Chiese evangeliche. Loro sì, hanno investito fortemente nella elezione di pastori, nella elezione di persone conservatrici. Il Pt dovrebbe fare una profonda autocritica e pensare a una articolazione politica a sinistra. Ma purtroppo il partito non è arrivato a questo punto.

 Dal nord al sud del mondo si evidenzia una crisi profonda dei partiti tradizionali che porta però anche a una crisi di interesse per la politica da parte dei giovani. Allo stesso tempo, sembra evidenziarsi anche una crisi delle alleanze che hanno portato ai governi del socialismo bolivariano (Psuv e suoi alleati in Venezuela, Alianza Pais in Ecuador, Mas in Bolivia). Pensa che questo possa costituire un’occasione per la rinascita di nuove alleanze di classe organizzate più chiare e definite sul piano dei programmi e degli ideali? (Nel secolo scorso si sarebbe parlato di partito comunista rivoluzionario, per capirsi)

Uno degli errori dei governi progressisti dell’America Latina è non aver approfittato della fase di grande appoggio politico da parte della popolazione e di grande rafforzamento economico, grazie al buon prezzo delle commodity sul mercato internazionale, per promuovere riforme strutturali. In generale, la gran parte dei governi non ha fatto riforme strutturali come la riforma politica, tributaria, agraria, delle banche, non si sono occupati della rialfabetizzazione politica dell’America Latina, ossia di un lavoro di base, con il quale, il popolo beneficiato dai programmi sociali, ossia i più poveri, fosse organizzato e formato politicamente. Questo non è stato fatto, si è confidato molto nel carisma dei dirigenti politici, nelle consegne, nelle parole d’ordine e il risultato è stato che, con i programmi sociali che miravano a portare migliorametni nelle condizioni di vita, mancando il lavoro di alfabetizzazione politica, è stata formata una nazione di consumisti e non di cittadini e protagonisti della vita politica.

 In Brasile come in molte parti dell’America latina, le chiese pentecostali accostano il loro programma conservatore a quello delle forze più reazionarie. Quale peso può invece avere la chiesa di base che si richiama a papa Bergoglio? E quali sono le aspettative che i movimenti popolari ripongono nel papa?

Papa Francesco è il primo papa che ha mobilitato i movimenti sociali non solo dell’America Latina ma anche di altre parti del mondo. Ha promosso almeno tre grandi incontri di movimenti sociali, l’ultimo in Santa Cruz della Serra, quando ha visitato la Bolivia. Tuttavia, nel caso della chiesa cattolica, in Brasile è stata molto smobilitata, negli ultimi decenni, in relazione al pontificato conservatore di Giovanni Paolo II e a quello di Benedetto XVI. Non c’è ancora stato tempo sufficiente perché il pontificato di Francesco possa rinnovare la struttura della Chiesa cattolica in Brasile e in America Latina. Pertanto non dobbiamo, in questo momento, aspettarci molto dalle pastorali popolari della chiesa cattolica, ma dobbiamo aspettarci invece molto dai movimenti sociali. Anche questi devono tuttavia rafforzarsi perché, spesso, hanno commesso l’errore di ritenere che i governi progressisti dell’America Latina fossero sufficienti a favorire i diritti popolari. Non è andata proprio così. Se da un lato li hanno favoriti dall’altro non hanno promosso riforme strutturali, forse anche per non aver rafforzato questi movimenti sociali o popolari che sempre storicamente hanno appoggiato i governi progressisti.

 In Brasile molti hanno parlato di “femminicidio simbolico” contro Dilma. Che pensa come uomo di sinistra?

Il Brasile ha come la maggioranza dei paesi al mondo una cultura maschilista, patriarcale, e pertanto, non solo in relazione alla politica, ma in relazione anche ad altri campi, come quello delle scienze, della pubblica amministrazione esiste, si può dire, un femminicidio simbolico. Ora, il governo Dilma e il governo Lula hanno fatto molti passi avanti contro questo maschilismo, contro il patriarcato, tanto che Lula ha indicato una donna per la sua successione e nella struttura del governo, varie donne hanno assunto funzioni molto importanti. Il grave è che Michel Temer nel formare il suo governo non ha invitato a parteciparvi nessuna donna e nessun negro, nonostante il Brasile sia la seconda nazione negra del mondo dopo la Nigeria.

 Sul piano economico ci sono due accordi che si intersecano e che mirano a chiudere nella morsa neoliberista il sud del mondo e in particolare l’America latina: il Tpp (l’accordo transpacifico), già in marcia, e il Ttip in Europa. Quale ruolo stanno giocando i governi europei nella crisi dell’America latina progressista?

Che io sappia, i governi europei o sono assenti o seguono la politica degli Stati uniti, che è stata sempre non solo quella di appoggiare qualsiasi golpe che favorisse le forze di destra, ma perfino di promuoverli. Sicuramente gli Stati uniti hanno agito per sostenere questo golpe che ha permesso l’allontanamento di Dilma Roussef e i governi europei che hanno sempre più composizioni conservatrici, reazionarie, continuano a guardare il panorama dell’America latina e soprattutto del Brasile come fosse qualcosa che non ha niente a che vedere con loro. Un’omissione complice nei confronti di un golpe che minaccia la nostra fragile democrazia, conquistata duramente, con molto sangue, durante la dittatura militare. L’omissione dei governi europei di fronte ai golpe in America Latina, la considero una vera e propria complicità.

(Ha collaborato Serena Romagnoli)