Una cinquantina di feriti e almeno 8 arresti. Questo il bilancio della repressione scatenata da Temer contro i manifestanti a Brasilia. Con un decreto-lampo, il presidente «de facto» ha deciso di impiegare 1.500 soldati e marines contro sindacati e movimenti che protestavano al grido di: Fora Temer e che avevano preso d’assalto la sede della presidenza della Repubblica e dei ministeri. Almeno 150.000 persone, in piazza contro le riforme antipopolari (pensioni e lavoro) e contro la corruzione che coinvolge lo stesso presidente e i suoi più stretti collaboratori.

Tre ore di scontri violenti in cui i militari hanno sparato e manganellato #OcupaBrasilia. Il decreto avrebbe dovuto rimanere in vigore fino al 31 maggio («Lo ritirerò quando la situazione tornerà normale», aveva detto Temer). Di fronte all’ondata di proteste – provenienti sia dall’opposizione che dalla maggioranza – ieri è però stato ritirato. Una misura che non veniva applicata dai tempi della dittatura militare (1964-1985).

Il Consiglio Nazionale dei Diritti Umani (Cndh) del Brasile ha condannato «l’uso delle Forze armate per reprimere la legittima manifestazione dei movimenti sociali, l’abolizione delle garanzie costituzionali, e la brutale repressione, che hanno messo in pericolo la stabilità delle istituzioni democratiche». Proteste anche dal Sindacato dei giornalisti (Sjpdf). Diversi reporter sono rimasti feriti negli attacchi della polizia e dei militari. Giselle Garcia, di Tv Brasil, colpita da un lacrimogeno sparato a breve distanza, Nilson Klava, di O Globo, aggredito da un soldato durante un’intervista, e molti altri. Ieri, la sede del ministero del Lavoro a Brasilia è stata evacuata per un allarme bomba.

La tensione è altissima, per il fine settimana movimenti e sindacati torneranno di nuovo in piazza per chiedere elezioni dirette. Il Parlamento dovrebbe discutere a breve la richiesta d’impeachment contro Temer, presentata dall’Ordine degli avvocati brasiliani e sostenuta dall’opposizione. La diffusione di un audio chiama in causa direttamente l’ex vice di Rousseff nel tentativo di comprare il silenzio del suo antico sodale – l’ex presidente della Camera Eduardo Cunha, ora in carcere – in merito alle tangenti dell’impresa Petrobras.

Temer sta perdendo pezzi della sua coalizione (il Psb) e anche il suo partito (il Pmdb) vuole che si dimetta. I poteri forti che lo hanno sostenuto affinché realizzasse i piani neoliberisti decisi attraverso il golpe istituzionale, lo vogliono scaricare. Ma lui si oppone.

Intanto, almeno 10 contadini sono stati uccisi dalla Polizia militare nello stato di Parà, nel nord del paese. Secondo le testimonianze, occupavano un terreno e sono stati uccisi a sangue freddo. Nella stessa regione di Redencion vi sono stati già diverse uccisioni analoghe per mano della polizia: a partire da quella del 1996 (19 contadini ammazzati).

Ieri, in una riunione dell’Osa per definire i termini del prossimo incontro dei ministri degli Esteri per sanzionare il Venezuela, l’Ecuador ha chiesto che venisse inclusa nell’agenda di quel giorno (il 31 maggio) anche la situazione del Brasile. «Rigettiamo interpretazioni distorte circa il funzionamento delle nostre istituzioni democratiche», ha replicato piccato l’ambasciatore del Brasile, José Luiz Machado, assicurando che «non esiste alterazione dell’ordine costituzionale». Diverse delegazioni, come la cilena e l’argentina, hanno appoggiato la protesta di Machado, sostenendo che quel che accade in Brasile «è una faccenda assolutamente interna» a quel paese. Gli affari interni del Venezuela, invece, sono di pertinenza degli Usa…