Nelle parole, una mano tesa verso i milioni di manifestanti che da una settimana occupano le strade delle principali città brasiliane protestando contro gli investimenti miliardari per l’organizzazione di Mondiali e Olimpiadi. Nei fatti, il via libera alle forze armate per la partita con l’Italia nello stadio blindatissimo di Salvador. Una misura, per reprimere la nuova ondata di manifestazioni popolari, che promette di fare da sfondo alla Confederations Cup fino al giorno della finale a Rio de Janeiro, in programma domenica prossima.

Nella notte italiana, mentre il Brasile batteva l’Italia 4-2 a Salvador de Bahia, si sono registrati scontri fuori dallo stadio, completamente militarizzato e isolato da uno spiegamento massiccio di esercito e polizia.

Dopo i disordini e le scene di guerriglia urbana in oltre 100 città del Paese, la presidente Dilma Rousseff ha deciso di intervenire in prima persona nel tentativo di arrestare l’escalation di violenza degli ultimi giorni. Lo ha fatto mettendoci la faccia, con un discorso a reti unificate nella notte tra venerdì e sabato, usando toni concilianti e annunciando l’intenzione di avviare un dialogo con i leader del movimento di protesta. In tutto, dieci minuti pieni di buoni propositi e promesse, con l’appello a porre fine alle violenze di strada che hanno messo a ferro e fuoco l’intero Paese. «Il governo ha il dovere di ascoltare le rivendicazioni della gente, che in questo modo ha mostrato la forza della nostra democrazia. Siamo dalla loro parte, ma bisogna porre fine alla violenza», ha esordito la prima cittadina brasiliana, costretta ad annullare all’ultimo momento un viaggio diplomatico in Giappone per convocare in tutta fretta una riunione di governo. Nella sostanza, dunque, una chiara apertura al dialogo, servita quantomeno a limitare la portata delle proteste che non si sono fermate nemmeno ieri, con scene di violenti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine a Curitiba, Brasilia, San Paolo e Rio de Janeiro, dove il ministero della Sicurezza ha ammesso di essersi lasciata scappare di mano la situazione.

[do action=”quote” autore=”Dilma Rousseff”]«Mi auguro che gli ideali rappresentati in questi giorni nelle strade delle nostre città servano ad accelerare il processo di giustizia sociale di questo governo»[/do]

«Mi auguro che gli ideali rappresentati in questi giorni nelle strade delle nostre città servano ad accelerare il processo di giustizia sociale di questo governo», ha continuato la presidente prima di passare alle promesse e alle misure concrete che l’esecutivo intende adottare. Nello specifico, Rousseff ha annunciato l’attuazione di un patto nazionale per il miglioramento del sistema sanitario, di quello educativo e dei trasporti pubblici, i punti più critici che hanno fatto esplodere le proteste di strada. Non solo, reiterando i propositi annunciati nella trionfale campagna elettorale del 2010, l’ex guerrigliera in prima linea nel fronte rivoluzionario che lottò contro la dittatura a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, ha promesso di destinare il 100% delle royalties petrolifere per la costruzione di nuove scuole e ospedali, per quanto il progetto sia ancora subordinato all’approvazione parlamentare. Rousseff ha anche affrontato la spinosa questione relativa ai costi sostenuti per la ristrutturazione e la costruzione degli stadi che ospiteranno i prossimi Mondiali, promettendo che i circa 3 miliardi di dollari prelevati dalle casse dello Stato verranno «totalmente finanziati da investimenti dei privati».

Tante promesse, dunque, ma nessun cenno ad altre due questioni critiche al centro della protesta popolare: l’abolizione della cosiddetta Pec 37, l’emendamento che prevede il trasferimento del potere d’investigazione degli atti criminali dalla magistratura alla polizia Federale e Civile, con il conseguente rischio di un’impennata dell’impunità per i tempi di prescrizione, e il ritiro della proposta presentata dalla Commissione parlamentare sui Diritti Umani per «curare» l’orientamento sessuale, quella che i manifestanti hanno ironicamente definito «la cura gay». Due nodi cruciali che hanno alimentato le rivolte della popolazione, ma a cui la presidente non ha dedicato nemmeno una parola. Così come non ha fatto menzione della brutale repressione per mano delle forze dell’ordine, contro cui giornali e televisioni hanno puntato il dito sulla scia delle immagini diffuse dall’inizio dalle proteste, mostrando attacchi gratuiti con bombe gas contro locali e ospedali pubblici. Una mancanza «inaccettabile», ha sottolineato la stampa locale, per una presidente che in passato si è trovata in prima linea nella lotta alla dittatura e alla repressione.

Sullo sfondo del discorso conciliatore di Dilma Rousseff si staglia inoltre uno strisciante clima di preoccupazione per la decisione del governo di autorizzare l’intervento dell’esercito in caso di nuove proteste cruente. Una misura straordinaria che risponde alle richieste di una maggiore garanzia di sicurezza avanzate dalla Fifa come conditio sine qua non per portare a termine la Confederations Cup, evitando così al Brasile il rischio di pesanti sanzioni, tanto economiche quanto sportive.

La decisione del governo non fa altro che alimentare il clima di militarizzazione che già si respira ampiamente nelle principali città del Paese, sconfessando i toni pacificatori adottati dalla presidente nel suo discorso alla nazione. Una nazione che si sta ribellando non solo per strada, ma anche attraverso i social network e i sondaggi promossi dai media locali, in cui quasi l’80% della popolazione ha espresso il desiderio che venga sospesa la Confederations Cup e si rinunci a ospitare i prossimi Mondiali, definiti all’unisono «il più grande furto nella storia del Brasile».