L’Armata Brancaleone viene da pensare che sia sempre esistita è invece è diventata un modo di dire inventato da Monicelli, Age e Scarpelli a partire dai film del 1966 e del 1970; è l’idea platonica di cricca sgangherata e ora è il suo momento. Radio 3, con Hollywood Party, l’ha ricordata per celebrare Gigi Proietti attore cinematografico. Il drammaturgo Roberto Latini ha proposto una rivisitazione scenica del testo, rendendolo quasi poema sonoro. E sarà che si vivono tempi scombiccherati e situazioni di contrabbando ma l’aria post atomica di Brancaleone e la sua cricca sembra l’unica credibile ora: la richiamano persino i super eroi freak di Mainetti, e i suoi partigiani deformi, onirici e straccioni.
Nelle piazze il cavaliere resistente di Norcia ci era tornato appena schiuso il lockdown nel 2020, con Brancaleone – viaggio di inizio millennio portato da Giampiero Solari (direttore artistico) e Paola Galassi (regista, con Oscar Genovese), in una tournée nei comuni marchigiani colpiti dal sisma del già lontano 2016.

CON STRANA risemantizzazione del lessico giornalistico e da protezione civile, le zone che comprendono i centri più danneggiati da un terremoto li chiamiamo crateri e gli attori marchigiani hanno avuto come scena per il Medio Evo aulico burino che già fu di Gassman e Volontè, proprio la terra mal suturata delle province di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata; posti che si abitano ancora con l’incertezza e l’allarme di chi vive dentro la bocca di un vulcano. Portarvi uno spettacolo corale come Brancaleone fu encomiabile iniziativa in giorni in cui gli spettacoli dal vivo e da redivivi consistevano perlopiù in volenterosi monologhi. Ora la compagnia torna sui luoghi del diletto scenico ma dentro i teatri, con debutto a Cagli sabato 6 fino al 13 novembre (ultima tappa a San Severino), in un progressivo «ritorno alla normalità», come si usa dire negli auspicanti proclami delle Istituzioni.
Posto innanzitutto che per tornare normali bisogna esserlo stati, più che al preteso sereno incedere verso il futuro, il risorgere delle Marche post sisma, somiglia al gioco dell’un due tre stella. Ci si riavvicina cauti a quello che dovrebbe essere un quotidiano decente, passo passo, con circospezione superstiziosa, a volte si torna dentro come Sisifo. Pochi ancora i cantieri, si estinguono le seconde case e i residenti stagionali che facevano parte di una comunità allargata che si sta sgretolando; i negozi dei borghi storici finiscono rubricati come non luoghi, ancora ficcati dentro la zona rossa. Ecco, il colore per eccellenza lega le due catastrofi, virologica e geologica.
Detto ciò, c’è molta gioia di tornare a teatro, tangibile l’entusiasmo per le compagnie di giro nel riprendere vita residenziale. Solari racconta del gioco faticoso di sintesi scenica della trasposizione dello spettacolo dal plein air al perimetro di un palco: non ci sono più le quinte naturali degli «skyline», pure tarlati, dei borghi delle Marche, ci si affida a pochi elementi scenografici, il cavallo anarchico di legno Aquilante, un baule (zavorra e cifra di ogni mistero), e su tutte una rampa dove gli attori scorrazzano, confine, orizzonte, slancio per ogni cimento, come la siepe che da tante parte etc. Cast e maestranze sono marchigiane e marchigiana la multiforme lingua nel riadattamento di Solari: non un rumore di fondo ma un suono nuovo intessuto di latino, maccheroni e dei tanti idiomi della regione che chi la abita sa a memoria quanto è plurale anche linguisticamente.

DELL’ESPERIENZA dell’estate liberata del 2020 è stata distillato una testimonianza video, per la regia di Davide Lomma, Il viaggio del viaggio, docufilm prezioso soprattutto per il ribaltamento che restituisce: le immagini di scena si giustappongono a quelle dei paesi marchigiani ancora a brandelli e sono gli attori a guardare a occhi sgranati il pubblico affollato nelle piazze di Ascoli Piceno, Arquata del Tronto, San Ginesio, Tolentino, Servigliano e Amandola, per stare insieme. Il viaggio di questo Brancaleone appestato è un viaggio tra il nulla dice Solari. Nei vuoti a forma di paesi, nelle falle della terra e dell’anima: compito dell’arte, ancora una volta, raccontarle e riempirle di senso.