È innegabile che qualunque spettatore chiamato ad assistere a una rivisitazione de L’armata Brancaleone si aspetti (con curiosità ma anche qualche «apprensione») un qualche tipo di rilettura non tanto di quel capolavoro cinematografico, ma soprattutto della lingua che Mario Monicelli (un vero genio, ancora non pienamente riconosciuto nelle «classifiche» critiche nazionali) insieme ai fidi Age e Scarpelli, inventò di sana pianta. E già solo il titolo, oltre a diverse frasi ed espressioni, è entrato nel linguaggio comune, dal gergo politico giù giù fino agli schiamazzi notturni.
Roberto Latini chiamato a inaugurare la stagione del Metastasio, in questa prima parte che vede il passaggio della direzione da Franco D’Ippolito a Massimiliano Civica, sceglie una strada intermedia tra i suoi monologhi roboanti capaci di emozionare lo spettatore, e una messinscena con numerosi attori (tutti singolarmente di valore) che lascia intatto quel linguaggio e quelle iperboli del film originale, senza particolari reinvenzioni corali.

MA CHE PROPRIO nel misurarsi con un ensemble puntando su voci e contraddizioni di quel panorama umano, rischia ogni tanto un calo di tensione e curiosità. Tanto che a impersonare quell’eroe strafalcione e gigionesco che era Vittorio Gassman, è qui Elena Bucci, che nonostante indossi le spalline di un’armatura, è figura opposta a quella del mattatoriale eroe di fallimenti. Resta dunque la sfida del linguaggio, che non riesce sempre però a trovare la giusta risonanza, a «volare alto» verrebbe daa dire, per tutta la durata dello spettacolo, a differenza della grande traversa metallica che fa scendere dal soffitto i personaggi e alla fine incombe minacciosa su di loro. Come sempre negli spettacoli di Latini, è particolarmente curata ed efficace l’ambientazione sonora di Gianluca Misiti, come quella illuminotecnica di Max Mugnai.