Kenneth Branagh è personaggio molto più interessante della somma dei brutti film da lui realizzati. Colto, autoironico e di formazione classica stenta però a trovare nel cinema una dimensione a lui consona. Oscillando fra l’amata matrice scespiriana, il desiderio (pulsione) di conquistare il trono che fu di Sir Laurence Olivier e scelte non sempre felici che invece lo avvicinano a Richard Burton, Branagh è una sorta di ingombrante interprete monumentale che eccede inevitabilmente i film che dirige o interpreta. Sulla carta l’idea di un rifacimento di Assassinio sull’Orient Express era allettante.

Il cast all star un omaggio a un cinema che non esiste più. Si sperava, insomma, in un sano intrattenimento ironicamente demodé. Branagh invece non solo fatica a distogliere la nostra attenzione dai baffoni finti di Poirot ma tenta in tutti i modi di farci capire che lui il mistero della colpa e il labile confine fra giustizia e legge lo ha compreso e sondato (l’incipit con il muro del pianto vorrà pur dire qualcosa). Il film, perennemente indeciso fra (auto)ironia e un tenore più ponderoso, si muove faticosamente (come un treno nella neve…). E siccome l’esito dell’indagine è noto il film stenta a trovare ragioni per conservare desta la nostra attenzione che non sia l’esibizione di un abbastanza inutile (ai fini drammatici) uso del 65 mm (il medesimo utilizzato da Christopher Nolan in Dunkirk).

L’idea di ricreare nel treno la scena primaria di un tribunale primordiale come un teatro delle aporie e dell’indecidibilità non trova mai la corretta articolazione drammatica. Da un lato l’ossequio ai punti cardine della sceneggiatura e dall’altro i tentativi costanti ma sempre frenati di spiccare il volo costringono Branagh a restare come sospeso a mezz’aria, vittima, ancora una volta, del suo talento che come al solito fatica a manifestarsi pienamente o, se non altro, in forme interessanti. Così l’uccisione del facoltoso ma detestabile americano (un Johnny Depp sobrio che attraverso questo film tenta di rifarsi un look nuovamente appetibile per il box office) è ridotto a un intrigo da gioco di ruolo. Il resto del cast fa quel che può che il poco che ha a disposizione. Il finale con Poirot che confronta gli accusati disposti dietro un lungo tavolo come a richiamare un’ultima cena è il segno stesso delle ambizioni e in definitiva dell’impotenza del film.

Poi, certo, il doppiaggio italiano goffo e privo di sottigliezze ci priva anche del piacere delle voci degli attori che invece nella versione originale qualcosa salvavano… Sia come sia, Hercules Poirot in questo momento sta indagando in Egitto su un assassinio commesso sul Nilo. Vedremo alla prossima puntata se il pubblico che nei confronti di questo remake è stato estremamente generoso risponderà con il medesimo entusiasmo. Sperando che Kenneth Branagh trovi finalmente la quadratura del suo cerchio.