È un «ritratto» dice Brady Corbet del suo Vox Lux, presentato in concorso alla Mostra. Ma non tanto il ritratto della sua protagonista – la cantante pop Celeste – quanto del primo ventennio del ventunesimo secolo: «Ho fatto del mio meglio per realizzare una cronaca degli eventi più importanti degli ultimi vent’anni» . A partire dalla fine del Novecento: il 1999 del massacro alla Columbine High School che idealmente dà inizio a un ventunesimo secolo «attraversato dall’ansia» – dice il regista – e che sullo schermo viene trasfigurato in una sparatoria ad una scuola di Long Island. «Sono nato e cresciuto in Colorado – racconta Corbet – quindi il massacro di Columbine è stato un evento che ha avuto un enorme impatto psicologico sulla mia vita. Nel film ho però deciso di non raccontare proprio quei fatti, ma un evento simile: non volevo sfruttare quella tragedia». «Mi sono sempre interessata di ciò che la violenza fa agli individui, degli effetti psicologici di massa degli attentati terroristici, un fenomeno che negli Stati uniti, negli ultimi anni, abbiamo visto aumentare esponenzialmente», aggiunge Natalie Portman, che interpreta la pop star quando raggiunge i 30 anni.

La sua Celeste, all’apice della fama e dell’esaurimento che essa comporta, aggredisce un giornalista che le fa delle domande scomode: «Reagisce all’ansia e alla paura aggredendo la stampa, in questo si comporta come Trump» nota il regista, e suggerisce nel film la voce narrante di Willem Dafoe. «La scelta della voce narrante – spiega Corbet – serviva a sottolineare il fatto che ci troviamo in una favola: con Vox Lux non volevo tanto fare un film didattico o incentrato su dei temi ‘caldi’ quanto una riflessione poetica sulla nostra epoca caratterizzata dall’ansietà». Nel suo precedente L’infanzia di un capo, il protagonista ci accompagnava verso l’ascesa del male nell’Europa del 900, che «si preparava» all’Olocausto: «In questo film assistiamo invece in un certo senso alle conseguenze di quel male».

La dedica di Vox Lux va a Jonathan Demme, il grande regista scomparso nell’aprile dell’anno scorso e che nel 2015 – da presidente della giuria di Orizzonti – premiò L’infanzia di un capo come miglior regia: «Premiandomi qui a Venezia ha cambiato la mia vita, e poi si è preso cura di me e del mio film, una cosa che ha fatto con tanti altri giovani registi» .