Trofei, animali e piante da esposizione e domestici, pelli, cosmetici, profumi, gioielli, decorazioni, mobili pregiati, cibo esotico, medicinali e chissà cos’altro. Ci sono beni di consumo, e non solo di lusso, che straziano la natura, depredano, uccidono, distruggono flora e fauna selvatiche, annientano specie protette e in via di estinzione, stremano territori e impoveriscono popolazioni. Alimentano il crimine organizzato e il bracconaggio, una piaga questa che «insieme a tutte le forme di appropriazione illegale di risorse naturali della terra, con un fatturato annuale di 213 miliardi di dollari, rappresenta il quarto mercato criminale del Pianeta». Dopo quello della droga, delle armi e il traffico di esseri umani.

Fermare i «Crimini di Natura» è l’obiettivo della campagna lanciata dal Wwf (http://criminidinatura.wwf.it/), in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente che si celebra oggi. Un obiettivo necessario per favorire lo sviluppo sostenibile, anche al fine di scongiurare i grandi esodi di massa da quei Paesi ricchi di biodiversità ma depauperati e fragili.

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«Solo in Africa – denuncia il Wwf – ogni anno vengono massacrati almeno 30.000 elefanti e Paesi come la Tanzania e il Mozambico hanno perso in soli 5 anni tra il 50 e il 60% della loro popolazione di questi straordinari pachidermi. Ogni anno viene ucciso il 10% dei gorilla di pianura. In Zimbabwe è scomparso in pochi anni il 60% della popolazione di rinoceronti e in 10 anni è scomparso quasi il 70% degli elefanti di foresta del bacino del Congo. Anche gli squali sono in drammatico declino (alcune specie in pochi anni hanno subito una riduzione del 98%) mentre in alcune regioni abbiamo perso il 90% delle popolazioni di pangolini. Si è ridotto del 40% il territorio in cui prima viveva la vigogna, un meraviglioso animale sud americano. La tigre dell’Amur è stata ridotta dal bracconaggio a non più di 540 esemplari, in via di estinzione mentre i leoni in Africa occidentale hanno a disposizione solo l’1% del precedente territorio di diffusione».

Ma un’analisi dettagliata del traffico delle specie protette e dei prodotti da esse ottenute è contenuta nelle oltre cento pagine del rapporto «World Wildlife Crime Report» pubblicato dall’Ufficio Drugs and Crime delle Nazioni Unite (Unodc), perché l’emergenza bracconaggio è diventata una priorità mondiale, un crimine contro 7000 specie diverse in 164 paesi, tanto da essere entrata nell’Agenda 2030 dello sviluppo sostenibile dell’Onu. E tanto da indurre la seconda assemblea sull’Ambiente dell’Onu (Unea2) che si è tenuta a Nairobi dal 23 al 27 maggio scorsi, a lanciare la campagna «Wild for Life» contro il traffico di specie a rischio d’estinzione.

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Ma il commercio illegale di natura è attività comune anche in casa nostra e, avverte l’Unodc, «siamo tutti potenzialmente complici del bracconaggio e tutti abbiamo la responsabilità di agire, anche attraverso la diffusione della consapevolezza, dell’informazione e delle pratiche di un consumo responsabile». Qui non si parla della caccia regolamentata, ma della cattura, dell’uccisione o del traffico di specie selvatiche preservate. In Italia, dove – riferisce il Wwf – manca un piano nazionale per fronteggiare questi fenomeni, ogni anno vengono uccisi non solo milioni di uccelli protetti ma anche centinaia di lupi (ogni anno circa 300 muoiono a causa dell’uomo, anche all’interno dei Parchi, uno su due per mano dei bracconieri).

Non solo tigri e oranghi, dunque. Non solo lontano dai nostri occhi. Fermare questi crimini è «una responsabilità anche europea», sostiene l’associazione ambientalista che annuncia l’interlocuzione diretta, proprio in questi giorni, con i ministeri dell’Ambiente dei Paesi dell’Ue, tra cui l’Italia, in vista dell’approvazione, il 20 giugno prossimo a Bruxelles, del Piano d’azione europeo ad hoc, in coerenza con gli obiettivi della Convenzione internazionale Cites, firmata a Washington nel lontano 1973 e a cui oggi aderiscono 182 Stati dell’Onu.