Una calma (apparente) è tornata per le strade di Libreville dopo giorni di proteste e arresti di massa seguiti alla contestata rielezione del presidente Ali Bongo Ondimba. Ma i disordini post-elettorali, lungi dal restare circoscritti a una parentesi di malcontento sociale, hanno aperto la strada a una crisi politica che lascia il Gabon in un’impasse senza precedenti.

Jean Ping, il principale sfidante, ha accusato le autorità del Paese di frode elettorale e ha chiesto un riconteggio dei voti seggio per seggio, in particolare nella provincia di Haut-Ogooué, roccaforte della famiglia Bongo, che ha dato ufficialmente la vittoria finale al presidente uscente con oltre il 90%.

Lunedì, con un messaggio postato sui social Ping aveva invitato la popolazione a scendere ancora in piazza per «resistere bloccando l’economia del Paese» e «iniziare uno sciopero generale».

A chiedere il riconteggio sono anche gli Usa, il premier francese Manuel Valls e l’Ue la cui missione di osservatori elettorali ha denunciato «evidenti anomalie» nei risultati del voto. Mentre L’Unione Africana ha annunciato che una delegazione «di alto livello» dovrebbe arrivare in Gabon «nel più breve tempo possibile» per cercare di avviare una mediazione. Così, dopo giorni di silenzio, Ali Bongo è passato al contrattacco punto per punto. E lo ha fatto su tre radio francesi tra le più ascoltate.

Ricontare i voti, ha spiegato, significherebbe «violare la legge elettorale» e in ogni caso è una questione di competenza della Corte costituzionale. Quanto alle accuse di brogli, «Jean Ping ha commesso frode» sostiene il presidente che non ha escluso di presentare egli stesso un ricorso per contestare i risultati di alcune province attribuite al suo sfidante. Dal canto suo, Ping ha detto di non avere alcuna fiducia nella Corte costituzionale a causa dei suoi presunti legami con la famiglia Bongo.

I saccheggi e gli slogan anti-Bongo hanno dunque lasciato il passo, come prevedibile, alle accuse verbali. La tensione resta alta e l’impressione è che si tratti non di una battaglia per l’alternanza governativa quanto di una guerra per spodestare la dinastia dei Bongo al potere ininterrottamente da mezzo scolo e ora per la prima volta messa fortemente in discussione alle urne.

Come del resto già suggerito dal candidato indipendente alla presidenza Dieudonné Minlama Mintogo che così spiega il suo rifiuto di unirsi alla coalizione dell’opposizione: «Più che un’elezione presidenziale, c’era un referendum anti-Ali Bongo Ondimba. La priorità per questi avversari era che Ali lasci. E se non ti unisci alla loro coalizione, allora diventi l’avversario. Sviluppare l’economia e migliorare le condizioni di vita del Gabon, a loro non importa».

Ali Bongo ha vinto le presidenziali del 27 agosto con un margine di misura (49.80%) su Ping (48.23%) (5,594 voti di differenza) che ha sin da subito contestato i risultati autoproclamandosi presidente.

Dall’inizio delle rivolte, represse dalla polizia, più di 1000 persone sono state arrestate. Mentre il bilancio delle vittime non è ancora chiaro: 3 morti e 105 feriti secondo fonti governative; tra le 50 e le 100 secondo Ping. Ad oggi molti civili risultano dispersi – tra cui circa 15 di cittadinanza franco-gabonese – e ancora cercati dai famigliari radunatisi lunedì dietro ai cancelli del palazzo di giustizia di Libreville.

La Francia – da cui il Gabon si è reso indipendente nel 1960 – attraverso il ministro degli esteri Jean-Marc Ayrault ha già mandato a dire però che i tempi dell’ingerenza francese negli affari africani sono finiti e che non ha alcuna intenzione di intervenire.

A dispetto delle accuse di interferenza lanciate dagli alleati di Bongo quando, ancor prima della proclamazione del presidente, il Partito socialista francese aveva dichiarato che i primi risultati davano la vittoria a Ping.

Un episodio, hanno detto, che richiama la politica della Françafrique per cui la Francia ha continuato incontrastata a curare i suoi interessi economici nelle ex-colonie in cambio di sostegno politico ai leader locali.

Come il padre di Ali, Omar Bongo, al potere per 42 anni tra accuse di corruzione per aver favorito gli interessi della sua famiglia e quelli dell’ex-madrepatria a spese della popolazione. Con le sue ricche risorse petrolifere, una popolazione di 1,9 milioni di abitanti e un Pil pro-capite nel 2015 di 8,3 dollari, il Gabon è uno dei Paesi più ricchi dell’Africa. Eppure un terzo dei suoi cittadini vive al di sotto della soglia di povertà.

Dal padre, Bongo jr ha cercato di prendere le distanze sin dal suo primo mandato presidenziale nel 2009. Ha introdotto riforme per diversificare l’economia rispetto alla produzione di petrolio e agli investitori tradizionali (principalmente la Francia) – firmando accordi per un valore di 4,5 miliardi di dollari con tre aziende asiatiche – e trasformare il Paese in un’economia emergente entro il 2025. Fatto che ha contribuito a raffreddare i rapporti con la Francia e con il suo gigante petrolifero Total a cui il Gabon nel 2014 ha richiesto un adeguamento fiscale di 587,5 milioni di euro.