Dopo due ore e mezzo di vertice a palazzo Grazioli i tre leader del centrodestra escono dal summit sventolando l’intesa. Quanto sia reale e quanto invece lo scontro covi sotto le ceneri lo si capirà oggi stesso o forse addirittura domani al momento del voto nell’aula di palazzo Madama. Perché se non ci sono dubbi sull’assegnazione dello scranno del Senato a un forzista, ce ne sono invece in quantità sulla chances del nome indicato da Fi, quello di Paolo Romani. M5S, come era certo, ha già fatto sapere che non lo voterà. Il rischio che finisca affossato dai franchi tiratori, in particolare da quelli leghisti è altissimo. Sempre che ci sia bisogno dell’agguato: «Devono esserci nomi e cognomi condivisi da tutti», ha sentenziato in serata Salvini. Parole che per la candidatura Romani suonano come un de profundis.

Nel corso della riunione della mattina Berlusconi, l’ospite scortato da Ghedini, Salvini con Giorgetti al fianco e Giorgia Meloni spalleggiata da La Russa avevano convenuto su una spartizione secca. A Fi va la presidenza del Senato, il Friuli Venezia Giulia torna alla Lega, con l’ex capogruppo Fedriga candidato e il forzista Tondo defenestrato. Ma soprattutto il leader leghista ottiene la garanzia di restare candidato premier, almeno ufficialmente senza subordinate. Passaggio importante perché, sia che riesca a formare un governo e una maggioranza sia che, come è più probabile, non ce la faccia, comunque sarà lui a reggere il gioco nei giorni cruciali, dopo Pasqua. Accordo pieno, poi, sull’intesa per affidare a un esponente di M5S la presidenza di Montecitorio, nonostante i dubbi di Giorgia Meloni che fino all’ultimo avrebbe preferito che la sua coalizione cercasse di occupare entrambe le piazze. Toccherà invece al 5S «di sinistra» Roberto Fico, la cui candidatura sarà certamente ufficializzata oggi dal Movimento.

C’è un’ulteriore novità nel comunicato unitario del centrodestra. Per concordare non solo le presidenze ma anche le vicepresidenze delle Camere «i leader del centrodestra invitano i rappresentanti delle altre forze politiche a un incontro congiunto». Da tenersi giocoforza oggi, perché il tempo sta per scadere. L’idea è stata partorita da Gianni Letta, nel corso del «prevertice» azzurro precedente al summit di coalizione, presenti anche Romani, Brunetta e Ghedini. È una trovata che in realtà a Salvini è piaciuta pochissimo. In parte serve a verificare se M5S è davvero disposta a dialogare con Silvio Berlusconi in persona. Poteva però rimettere in gioco un Pd che altrimenti sarebbe rimasto nell’angolo. Solo che lo stesso Pd ha già respinto l’invito: «Non partecipiamo a incontri con esiti già scritti».

La partita, non solo sulla presidenza del Senato ma anche sulle possibili alleanze di governo, è però riaperta, alla faccia della sbandierata «disponibilità a trattare con M5S» di Berlusconi, grazie alla candidatura, ufficialmente unica, di Romani. La decisione del Pd ieri sera, in attesa che si riunisse il risorto «caminetto», non era ancora stata presa. Ma se la scelta fosse quella di votare per Romani, con il quale i rapporti nella scorsa legislatura erano ottimi, l’elezione della seconda carica dello Stato a opera della destra e del Pd tagliando fuori Di Maio sarebbe un’indicazione precisa sulla via da battere per prima quando, tra poco, si tratterà di cercare una maggioranza. Tanto più che, se è vero che nulla obbliga il capo dello Stato ad affidare il mandato esplorativo al presidente del Senato, come ha tenuto a far sapere ufficiosamente il Colle, è anche vero che nulla lo impedisce.

Per Salvini la candidatura di Romani è una trappola. La Lega non avrebbe difficoltà a far saltare tutto facendo mancare i suoi voti già alla prima votazione, o addirittura concordando con M5S una convergenza su una delle altre due papabili azzurre, Anna Maria Bernini oppure Elisabetta Casellati. Ma prima di ricorrere a un metodo estremo che metterebbe a rischio l’unità della destra Salvini il mediatore cercherà di convincere Berlusconi a ritirare una candidatura fatta apposta per far saltare tutti i ponti con M5S e costruirne di nuovi con il Pd. Se il Cavaliere insisterà, per la destra sarà il giorno più lungo.