Voto sul filo del rasoio in Kosovo. Il Parlamento è riunito per eleggere il Presidente della Repubblica. Secondo i pronostici dovrebbe essere Vjosa Osmani, erede politica del “padre” del Paese, Ibrahim Rugova, a succedere Hashim Thaqi, ex capo di Stato ed ex guerrigliero dell’Esercito di liberazione nazionale (Uck), dimessosi lo scorso novembre per affrontare il processo all’Aja che lo vede imputato per crimini di guerra e contro l’umanità.

Un passaggio delicatissimo che ha condizionato la politica del Kosovo nell’ultimo anno e mezzo e che è sfociato in questi giorni in un susseguirsi di trattative, colpi di scena, ricatti che minaccia di portare il Paese a nuove elezioni anticipate. A ulteriore riprova della criticità del voto, la presenza in aula al momento della discussione degli ambasciatori del Quintetto – Usa, Regno Unito, Francia, Germania e Italia.

IL BRACCIO DI FERRO che contrappone maggioranza e opposizione ruota tecnicamente intorno al numero legale necessario per convalidare l’elezione del Presidente. L’opposizione è intenzionata a boicottare la sessione parlamentare per impedire la nomina di Osmani, la lady di ferro dallo straordinario appeal elettorale – è risultata la candidata più suffragata della storia del Kosovo – che non ha risparmiato critiche alla classe dirigente, quei «signori della guerra» che hanno catturato lo Stato per vent’anni, trasformandolo in un buco nero di corruzione, nepotismo e traffici illeciti.

La mancanza del numero legale comporterebbe lo scioglimento dell’Assemblea e nuove elezioni. Un azzardo per le opposizioni, già fortemente ridimensionate alle urne nelle tornate elettorali del 2019 e dello scorso febbraio. Un azzardo che, tuttavia, riflette il disperato tentativo della vecchia guardia di preservare posizioni di potere e di ostacolare l’azione riformatrice promessa da Osmani e Albin Kurti, alla guida del nuovo governo.

Non è un caso che tra i più fermi oppositori all’elezione di Osmani ci sia proprio Ramush Haradinaj, ex premier ed ex guerrigliero dell’Uck. Negli ultimi mesi si sono susseguite voci di un suo imminente arresto. Haradinaj, nome in codice di battaglia Rambo, ambisce allo scranno di presidente per garantire a sé e ai suoi accoliti l’immunità.

ALTRETTANTO SIGNIFICATIVA è la forte pressione esercitata da Washngton su due partiti all’opposizione, la Lega democratica del Kosovo, partito in cui militava la stessa Osmani, e la Lista Srpska, partito di minoranza serba, diretta emanazione di Belgrado, perché prendano parte al voto.

Il paradosso è servito: il nuovo corso di Pristina dipende (anche) dalla Serbia di Aleksandar Vucic, ex ministro dell’Informazione all’epoca della guerra in Kosovo, e dagli Usa a guida democratica, gli stessi che vent’anni fa avevano legittimato Thaqi e la schiera dell’Uck, ai danni del leader dell’indipendentismo kosovaro, Rugova. Eppure potrebbe non bastare. Al momento in cui scriviamo, le opposizioni hanno fatto mancare il numero legale al primo turno. I tentativi concessi dalla Costituzione sono solo tre. Fallirli è il caos.