Quando ormai è pomeriggio e si è capito che l’accordo sulla regolarizzazione dei lavoratori stranieri è tutt’altro che raggiunto, Nicola Fratoianni la mette giù così: «Si procede a passo di gambero. Dichiarazioni, annunci e poi diversi passi indietro».

Il portavoce di Sinistra italiana non sbaglia. L’ultima bozza del decreto che dovrebbe riguardare non solo braccianti e quanti lavorano in agricoltura senza documenti, ma anche badanti, colf e baby sitter è più restrittiva rispetto a quella che l’aveva preceduta solo 24 ore prima, e se confermata rappresenterebbe un ulteriore cedimento di Pd e Iv alle richieste del M5S, contrario a qualsiasi tipo di sanatoria della quale gioverebbero – è bene chiarirlo – non solo lavoratori stranieri, ma anche decine di migliaia di italiani. Lavoratori che adesso vedono sfilarsi dalle mani la possibilità di emersione dal lavoro nero.

Poche parole rischiano di riaccendere le fibrillazioni in seno alla maggioranza e rendono tutto più difficile. Al secondo comma del primo e unico articolo del decreto si spiega infatti che verrà riconosciuto un permesso di soggiorno temporaneo ai cittadini stranieri ai quali sia scaduto il precedente permesso il 31 ottobre del 2019 e che possano dimostrare di essere entrati in Italia entro l’8 marzo 2020 a patto però, e qui è la restrizione che mancava nella precedente bozza di decreto, «abbiano svolto attività di lavoro nei settori» elencati nel successivo coma 3. Vale a dire, tra gli altri: agricoltura, allevamento e zootecnica, ma anche assistenza alle persona e lavoro domestico. Tutti settori nei quali, se impiegato a nero, difficilmente il cittadino straniero potrà dimostrare di aver lavorato. Un giro di vite che limita notevolmente quello che era l’obiettivo iniziale del provvedimento.

Sembrerebbe superato, invece, un altro dei punti di scontro all’interno della maggioranza come la durata del permesso di soggiorno temporaneo. Fin dall’inizio le ministre Bellanova (Agricoltura) e Lamorgese (Interni) avevano chiesto una durata di almeno sei mesi in modo da dare al lavoratore il tempo sufficiente per trovare un impiego stabile. Due mesi invece per la collega dal Lavoro Catalfo (M5S). La bozza circolata ieri lasciava ancora in sospeso il punto ma ci sarebbe un accordo per una durata di tre mesi al termine dei quali se il lavoratore avrà trovato un’occupazione stabile il permesso potrà essere convertito «in permesso di soggiorno per motivi di lavoro della durata minima di mesi quattro o per il periodo di lavoro contrattuale se superiore ai quattro mesi».

Si potrà accedere alla regolarizzazione sia in maniera autonoma, da parte del lavoratore, che attraverso i datori di lavoro previo pagamento di un contributo forfettario di 400 euro per ciascun lavoratore per gli onori connessi alla procedura di emersione, e di 300 euro per la richiesta del permesso di soggiorno.

Le ambizioni iniziali di arrivare a una regolarizzazione di 600 mila lavoratori tra braccianti, colf e badanti, si sono gradualmente ridotte passando prima 300 mila e adesso, se le restrizioni della bozza saranno confermate, a un numero al momento difficile da calcolare ma decisamente più basso. «Il rincorrersi di bozze, indiscrezioni, smentite e veti rischia di far perdere di vista un punto centrale, il provvedimento deve riguardare il numero più ampio possibile di persone.

Solo così si può corrispondere, in questa fase più che mai, all’interesse nazionale», ha commentato il deputato di +Europa Riccardo Magi. Per la campagna «Io accolgo» la regolarizzazione permetterebbe a «centinaia di migliaia di persone di sottoscrivere un contratto di lavoro, sottraendosi ai ricatti e allo sfruttamento del lavoro in nero». Ma a chiedere di coinvolgere il maggior numero di lavoratori è anche la Fillea Cgil. «In edilizia abbiamo 400 mila lavoratori irregolari, di cui 198 mila migranti non comunitari, in particolare africani e dell’ex Jugoslavia» ha denunciato ieri il segretario generale, Alessandro Genovesi. «Se questi lavoratori non vengono regolarizzati non possiamo neanche applicare i protocolli di sicurezza e quindi dargli banalmente mascherine e igienizzanti, con il rischio di avere un scoppio di focolai di Covid 19 nei cantieri».