Il traffico nella centralissima Corso Italia bloccato dalla polizia municipale, con la conseguente paralisi di mezza città. Forze dell’ordine discrete, ma presenti e pronte a intervenire. Fotografi e telecamere ovunque. Feste natalizie così ad Arezzo non si erano mai viste. Né era immaginabile, appena qualche anno fa, che l’epicentro della giornata di ordinario caos fosse Banca Etruria, con la sua sede centrale civilmente assediata da un centinaio di obbligazionisti e azionisti spennati dal decreto “salvabanche” del governo. “Rivogliamo tutti i soldi che ci avete rubato”, c’è scritto su uno dei tanti cartelli issati dai manifestanti, arrivati da Umbria e Toscana per far sapere al mondo che loro non si arrenderanno. Non ci stanno ad essere cornuti e mazziati.
“Faremo informazione – racconta al Tg3 regionale una donna – per far conoscere la situazione che stiamo vivendo. E invitiamo tutti i correntisti ad approfondire con la banca le loro posizioni”. Una dichiarazione di guerra, firmata dal comitato “Vittime del salvabanche” che continua a collezionare adesioni. Soprattutto dopo che i vertici delle “new bank”, nate sulle ceneri di Banca popolare Etruria e del Lazio, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara, hanno fatto sapere per bocca dei rispettivi cda che non sono affar loro i risarcimenti richiesti da chi ha perso 30, 50, anche100mila euro di risparmi. E la “bad bank”, creata da governo e sistema creditizio per affrontare i buchi miliardari dei quattro istituti, avrà ben altri problemi da risolvere prima di occuparsi, forse, degli obbligazionisti subordinati.
“Qui giace la fiducia nel sistema bancario”, c’è scritto su un altro cartello in favore di telecamere, davanti a quella che nella mitologia popolare era stata ribattezzata la “banca dell’oro”, per i suoi legami con il settore orafo aretino. Oggi invece, dopo il crack, i nuovi dirigenti cercano in ogni modo di riconquistare la fiducia di una clientela molto scossa. Non solo dalle vicissitudini degli obbligazionisti. Soprattutto da una crisi che anche da queste parti non accenna a finire, se non quando si accende la televisione.
“Diciamo no al fondo proposto dal governo – spiega un’altra manifestante – è insufficiente. Anche gli azionisti devono essere risarciti. E l’arbitrato è ridicolo, non disciplina niente. Poi non è vero che le obbligazioni sono state vendute online, allo sportello si vendevano anche quelle del mercato secondario”. Accuse in piena regola, dirette anche contro Bankitalia che non ha vigilato: “Sarebbe dovuta intervenire, per evitare che le banche continuassero a vendere carta straccia”.
Quando parte il lancio di uova sulle immacolate vetrate della Bpel, anche la polizia inizia a preoccuparsi. Un gruppo di manifestanti passa la porta di ingresso, entra nell’atrio e cerca di passare nel sancta sanctorum dell’istituto. Gli agenti intervengono, e iniziano a respingere fuori la piccola, imbufalita folla assiepata fra le due vetrate. “Ladri, ladri” urlano le vittime del “salvabanche”, ancora sotto lo striscione “Qui giace la fiducia nel sistema bancario”.
Già, perché la differenza fra il lutto collettivo di Siena – appena due anni fa – e la rivolta di Arezzo è proprio questa: nella città del Palio (quasi) tutti avevano benedetto l’acquisto di Antonveneta che ha portato alla rovina del Monte, qui invece la magistratura indaga per una gigantesca truffa collettiva ai danni dei risparmiatori. A riprova, la Fisac Cgil della “nuova” Bpel chiede ai nuovi vertici delle quattro banche di attivarsi subito “con azioni di responsabilità verso i vecchi amministratori e management, al fine di recuperare patrimonio da destinare ai soggetti lesi”. Che ora, pian piano, se ne vanno. Ma torneranno, spalleggiati dalle associazioni dei consumatori. Non solo ad Arezzo ma anche a Ferrara, Chieti, Ancona. E Roma.