Sarkozy versus Cameron, centristi contro popolari, democristiani contro cristianosociali: in Europa la partita su profughi e migranti si gioca tutta nel campo del centrodestra. E ha come posta in palio la definizione di una precisa strategia per il futuro.

A 15 anni dalle sanzioni che colpirono l’Austria dopo l’ingresso del partito razzista di Haider in una coalizione di governo guidata dai democristiani, il blocco moderato-conservatore che guida l’Ue, sebbene in una grande alleanza con il centrosinistra, si trova a confrontarsi con diverse possibili opzioni. Tra i motivi che hanno spinto Angela Merkel a prendere l’iniziativa, c’è con ogni probabilità anche la volontà di indicare una via, prima che all’Europa, alla sua stessa compagine politica.

Nell’analizzare la situazione, non può infatti sfuggire che i partiti di Merkel e Orbán, il premier ungherese che dell’intransigenza di fronte ai migranti è divenuto rapidamente il simbolo più odioso, fanno entrambi parte a pieno titolo del Partito popolare europeo. Non solo, oltre al magiaro Fidesz, e ad altre formazioni minori assai poco tenere nei confronti degli “stranieri”, a Bruxelles siedono sui medesimi scranni anche i parlamentari nostrani di Forza Italia e diversi ex di Alleanza Nazionale. Questo, per non parlare dei dissidi con la Csu bavarese, che della Merkel è anche un alleato di governo, che con il passare dei giorni si stanno intensificando, come dimostra l’invito rivolto da Horst Seehofer, governatore della Baviera e leader del partito, a Orbán.

Del resto, in una lunga intervista rilasciata a Le Figaro giovedì, anche Nicolas Sarkozy, la cui nuova creatura, les Républicains che ha preso il posto dell’Ump, appartiene ugualmente al Ppe, ha ribadito che anche per il centrodestra francese la linea della leader tedesca è indigeribile. Piuttosto che aprire le porte, ha spiegato l’ex presidente francese che si prepara per una nuova corsa, ma stavolta ancora piena di ostacoli, verso l’Eliseo per il 2017, «sarebbe meglio rifondare Schengen e mettere in atto una nuova politica dell’immigrazione europea» che passi per la riduzione dei ricongiungimenti famigliari e per l’introduzione di una sorta di “preferenza nazionale” soft nell’attribuzione delle prestazioni sociali.

Toni in realtà non distanti da quelli di Marine Le Pen: secondo un sondaggio pubblicato da Paris-Match, gli elettori di Sarko si dicono al 68% contrari all’arrivo di nuovi rifugiati, cifra che tra quelli del Front National arriva poco più su, al 75%.

Perfino Cameron assume ora una posizione più moderata rispetto a Sarkozy, che per questo l’ha criticato paragonandolo a Merkel e Hollande. Un vero paradosso se si pensa che proprio i conservatori britannici hanno sbattutto la porta del gruppo del Ppe per formare un rassemblement identitario e anti-immigrati di cui fa parte tra gli altri quel Partito del popolo danese che, come si è visto nei giorni scorsi, detta l’agenda del governo di Copenhagen.

Forse, già prima che la foto del piccolo Aylan scuotesse le coscienze, Angela Merkel aveva deciso di passare all’azione dopo essere stata fischiata a fine agosto in Sassia, dove l’estrema destra dava l’assalto a un centro per immigrati tra gli applausi di una parte della popolazione locale. In assenza di una reale minaccia elettorale alla sua destra, perlomeno in patria, e forte della grosse koalition con i socialdemocratici, la cancelliera ha scartato la via della possibile alleanza con le forze populiste e xenofobe o quella dell’inseguimento dei razzisti sul loro terreno, come avviene a Londra e Parigi, per investire su un’opzione autonoma, più nella tradizione del popolarismo europeo che di quella della destra-centro degli ultimi decenni, che rischia però di essere minoritaria proprio in seno alla sua stessa famiglia politica, ma che vuole, prima di qualunque considerazione morale, evitare che le destre siano fagocitate dai populisti.

Una sfida dalle conseguenze ancora imprevedibili.