Procedere a piccoli passi. Lavorare ai fianchi la Bossi-Fini e le leggi leghiste sull’immigrazione depotenziandole per renderle il meno dannose possibile grazie a una serie di disegni di legge, in attesa di avere finalmente i numeri per mandarle una volta per tutte in soffitta. E’ la strada imboccata da alcuni parlamentari del Pd per cominciare a smantellare la legge sull’immigrazione. A partire proprio dalla Bossi-Fini. Sì perché, al di là dei proclami seguiti all’ultima tragedia di Lampedusa, difficilmente il governo Letta metterà mano alla legge sull’immigrazione, vera mina per la già fragile alleanza, con il vicepremier Alfano e il Pdl schierati i difesa di una delle leggi simbolo dei governi Berlusconi. Quindi, devono aver pensato in molti, meglio intervenire subito dove si può senza aspettarsi, almeno per ora, grandi cose da palazzo Chigi. Sperando di essere smentiti.
I primi disegni di legge ci sono già. Ieri il senatore Luigi Manconi ne ha presento uno che abroga il reato di clandestinità introdotto nel 2009 dall’allora ministro degli Interni Maroni con il pacchetto sicurezza. Lo stesso obiettivo che si prefigge un altro ddl che verrà presentato questa mattina sempre dal Pd, primi firmatari i deputati Paolo Beni e Kalid Choaoki, insieme a un ddl del deputato Antonello Giacomelli sul diritto di asilo, un tema quest’ultimo sollecitato anche ieri dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Per Letta si tratta di una partita complicata da gestire. Sa bene che gli oltre 300 morti di Lampedusa impongono una cambiamento radicale nelle politiche sull’immigrazione dell’Italia, e da parte sua il premier sarebbe anche d’accordo a mettere fine alla Bossi-Fini. Ma è difficile farlo senza compromettere il rapporto con Alfano. Quindi l’unica è prendere tempo. E questo a costo di suscitare malumore dentro il suo stesso partito, dove ormai dal segretario Guglielmo Epifani in poi si non si chiede più di modificare la legge, ma solo di cancellarla. «Non nascondo che il comportamento tenuto da Alfano al suo ritorno da Lampedusa ha provocato imbarazzo: nessuna autocritica e solo la difesa di una legge che che condizionato negativamente l’Italia», spiega Chaouki, che oggi incontrerà la ministra per l’Integrazione Cecile Kyenge insieme ai deputati del Pd.
Una strategia, quella dei piccoli passi, che sembra essere stata adottata anche dalla Kyenge. La ministra ha annunciato un tavolo interministeriale per rivedere l’iter legislazione sull’immigrazione, ma sa bene che senza un accordo con il Viminale, quindi con Alfano, non si va da nessuna parte. «L’immigrazione è un fenomeno complesso, non si può banalizzare limitandolo a un solo elemento: riguarda il mondo dei lavoratori altamente qualificati, quello dei lavoratori agricoli, delle imprese, il mondo della scuola. Perciò va visto in tutti gli aspetti», ha spiegato ieri la ministra. Parole dalle quali si intuisce la difficoltà di poter agire senza compromettere equilibri delicati.
Qualcosa si starebbe comunque muovendo. I tecnici del ministero starebbero infatti lavorando a un ddl che riduca i tempi di permanenza nei Cie portata da Maroni da 3 a 18 mesi. Ma anche per snellire l’iter burocratico previsto per ottenere il permesso di soggiorno e per diminuire i ritardi esistenti nell’accogliere le domande di cittadinanza, che oggi possono toccare i quattro anni.
Ma è all’Europa che tutto il governo guarda, per una volta unito da Alfano a Letta. E in particolare alla visita che il presidente della commissione Ue Barroso e la commissaria per gli affari interni Malmstrom faranno a Lampedusa al termine del vertice dei ministri degli Interni della Ue che si tiene oggi in Lussemburgo. Con la speranza che un aiuto di Bruxelles a Roma possa allentare la tensione, facendo passare in secondo piano la modifica o cancellazione della Bossi-Fini.