«Quello dei migranti non è un problema balcanico ma europeo e l’Ue deve essere coinvolta di più». Mentre il ministro per la Sicurezza bosniaco Dragan Mektic rivolgeva venerdì scorso il suo (per ora) inutile appello a Bruxelles, nei giardini che si trovano nel centro storico di Sarajevo un nutrito gruppo di poliziotti procedeva allo sgombero della tendopoli nella quale per settimane hanno trovato rifugio centinaia di profughi, alcuni dei quali sono stati trasferiti in un campo a nord di Mostar. «Non ci sono stati incidenti o violenze, le persone sono partite volontariamente», ha assicurato all’agenzia France press Peter Van Der Auweraert, responsabile in Bosnia dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Sempre venerdì un altro campo è stato sgomberato anche a Velika Klandusa, nel nord ovest della Bosnia a pochi chilometri dal confine con la Croazia e gli occupanti condotti in un campeggio attrezzato con acqua potabile, corrente e servizi igienici.

Quanto sta accadendo in questi giorni in Bosnia preoccupa l’Unione europea che teme una nuova crisi dei migranti e per di più in un Paese dagli equilibri politici fragilissimi. Appena due anni dopo la chiusura della rotta balcanica, frutto dell’accordo siglato con la Turchia di Recep Tayyip Erdogan (proprio oggi il presidente turco è attesa a Sarajevo per un comizio), il flusso dei migranti sembra aver improvvisamente ripreso vigore attraverso una nuova rotta che partendo dal nord della Grecia, al confine sul fiume Evros con la Turchia, punta verso l’Albania e il Montenegro per poi entrare in Bosnia, precedere verso la Croazia e la Slovenia e dirigersi infine verso il nord Europa. Attraverso questa rotta dall’inizio dell’anno sarebbero entrati in Bosnia più di 4.000 migranti stando ai dati forniti dalle autorità di Sarajevo, che calcolano in 80-120 al giorno gli ingressi dall’inizio di maggio.

Già oggi i centri di accoglienza sono strapieni di uomini, donne e bambini ma il timore maggiore, espresso chiaramente nei giorni scorsi da Mektic in un intervista, è che una parte dei circa 60 mila migranti rimasti bloccati in Grecia dalla chiusura della vecchia rotta balcanica possano adesso decidere di mettersi in cammino: «La soluzione del problema deve coinvolgere anche le istituzioni dell’Ue, dato che noi da soli non possiamo affrontarlo», ha detto il ministro.

Una realtà nuova, che però ha fatto immediatamente salire la tensione nell’intera area. Il presidente bosniaco Denis Zvizdic ha annunciato di voler presentare due note di protesta contro Serbia e Montenegro che accusa di non sorvegliare a sufficienza i propri confini lasciando passare i migranti. Da parte sua la Croazia – Paese accusato spesso di non essere tenero con chi fugge da guerre e miseria – ha invece rafforzato i controlli ai confini con la Bosnia e reso noto l’acquisto di 60 nuovi fuoristrada per la polizia di frontiera.

Sarajevo si prepara a fare lo stesso. I bosniaci sanno cosa significa essere profughi per esserlo stati loro stessi negli anni della guerra e infatti in questi mesi non sono mancati i gesti di solidarietà. Gli abitanti di Sarajevo hanno assistito con cibo, vestiti e tende le centinaia di migranti – in maggioranza siriani, ma anche pachistani e afghani – accampati in pessime condizioni igieniche in pieno centro cittadino. Ma il continuo flusso rischia adesso di accendere anche un pericoloso scontro religioso in seno al Paese. Allarmato dalla consapevolezza di avere a che fare con migliaia di migranti musulmani, il presidente dell’entità serbo-bosniaca Miloard Dodik ha già detto che non permetterà l’ingresso nella Repubblica Srpska di nessun migrante e di voler ordinare alle polizia di riportare nella Federazione croato-musulmana tutti quelli sorpresi nel proprio territorio. Di conseguenza Mektic si è detto pronto a chiudere i confini del Paese e a impiegare l’esercito per impedire l’ingresso di nuovi migranti. Sarajevo, ha detto il ministro della Sicurezza, «non intende trovarsi nella situazione di affrontare un problema enorme soltanto perché altri Paesi affrontano questo problema in modo poco serio e senza tenere in considerazione le esigenze degli altri». L’impressione è di essere all’inizio di una nuova crisi, che questa volta rischia però di non coinvolgere solo i migranti.