La Bosnia-Erzegovina va alle elezioni del 7 ottobre dopo una campagna elettorale che lascia molti pronostici incerti e, soprattutto, tante incognite su quello che avverrà dall’indomani del voto.

Secondo gli analisti e gli ultimi sondaggi resi pubblici, nessuna delle tre corse per i seggi della presidenza collettiva sembra avere un chiaro favorito. Tra i candidati bosgnacchi, i numeri darebbero Šefik Džaferovic (Sda, destra identitaria conservatrice) in vantaggio rispetto al magnate dell’editoria Fahrudin Radoncic (Sbb, centrodestra secolare moderato). Ma gli analisti raccomandano cautela a causa del declino dell’Sda, partito colpito da scissioni e crisi di leadership. Mentre Radoncic, che ama presentarsi come l’unico in grado di negoziare con le controparti nazionaliste serbe e croate, appare in crescita.

Tra i serbi, Milorad Dodik (Snsd, destra identitaria) e Mladen Ivanic (Pdp, centro moderato) sono dati in testa a testa, in un fine campagna dominato dai rapporti con la Russia e dal caso di David Dragicevic.
Per il membro croato, Željko Komšic (Df, centrosinistra) sarebbe sorprendentemente in leggero vantaggio rispetto a Dragan Covic (Hdz, destra identitaria). Poiché i nazionalisti croati contestano Željko Komšic come «non autenticamente croato» in quanto otterrebbe principalmente i voti dei bosgnacchi (i musulmani di Bosnia ndr), questo risultato potrebbe condurre all’ostruzionismo dei parlamentari dell’Hdz. Il vuoto normativo sulla legge elettorale nella Federazione BiH (croato-musulmana), non ancora risolto dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell’anno scorso, potrebbe contribuire allo stallo istituzionale.

L’attenzione mediatica si concentra sulla presidenza. Ma poiché la Bosnia Erzegovina è uno stato parlamentare e ampiamente decentrato saranno cruciali i risultati dell’assemblea statale e, soprattutto, degli organi delle due entità (Federazione di BiH e Republika Srpska), su cui non sono stati effettuati sondaggi attendibili.

Importante per gli equilibri dell’ «etnocrazia» bosniaca è anche la corsa per la presidenza della Republika Srpska tra Željika Cvijanovic dell’Snsd e Vukota Govedarica dell’SzP, alleanza che raduna tutta l’opposizione anti-Dodik. Cvijanovic parte favorita ma, secondo diversi osservatori, l’Snsd non ha mai rischiato tanto la propria caduta come in queste elezioni, dopo 12 anni di potere assoluto.

La campagna non ha certo generato entusiasmo popolare, né offerto dibattiti di qualità. Ci sono stati pochi comizi in piazza e sono stati scarsi gli accenni ai temi economici e all’emigrazione, una delle vere emergenze del paese. In compenso la quantità di manifesti affissi in ogni luogo nelle città è impressionante, con un risalto forte e qualche volta totalizzante su slogan e simboli identitari, o talvolta sui soli volti dei candidati. Si attende dunque il risultato dell’affluenza, che nel 2014 si era attestata sul 54.5%, un risultato basso ma in linea con gli altri paesi post-jugoslavi. Secondo un recente sondaggio – realizzato nella sola Federazione croato-musulmana (BIH) – la partecipazione al voto sarà del 49%.

Resta inoltre aperta la questione della regolarità stessa delle elezioni. Nelle ultime settimane i media bosniaci hanno riportato alcune incongruenze nel processo, tra cui la differenza di 250.000 persone tra il numero di carte di identità valide (3.101.473) e il numero di votanti registrati (3.352.993), e denunce di irregolarità sul voto per posta dall’estero. Queste vicende accrescono i timori di brogli o persino di una sistematica frode elettorale. Sul voto vigileranno, tra gli altri, gli osservatori della missione internazionale Osce/Odihr e dell’organizzazione bosniaca Pod Lupom.

* Osservatorio Balcani e Caucaso-Transeuropa