Affiancata dal collega di governo Gianclaudio Bressa, sostenuta da Reinhold Messner (lunedì prossimo in municipio), attesa ospite d’onore sabato all’assemblea del Bauernbund, la Coldiretti sudtirolese.

Ma la campagna elettorale di Maria Elena Boschi nel collegio uninominale di Bolzano è riuscita a far esplodere il Pd locale e l’intesa con la Südtiroler Volkspartei, essenziale nelle Regionali d’autunno.

Il seggio a statuto speciale per la sottosegretaria ultra-renziana aveva inviperito l’ex segretario Svp Siegfried Brugger: «Un errore capitale. Il sostegno a Bressa al Senato è abbastanza comprensibile perché ha fatto tanto per l’Alto Adige. Ma Boschi ancora nell’ottobre 2014 aveva chiesto l’abolizione delle autonomie speciali. È imperdonabile che la Svp si presti a questo gioco».

Poi ieri in conferenza stampa è arrivata la ratifica della spaccatura definitiva nel Pd bolzanino: 14 esponenti, cioè l’intera minoranza interna, sono usciti clamorosamente dal partito. Fra loro esponenti di spicco come Monica Franch, assessore in municipio, il presidente del consiglio provinciale Roberto Bizzo, il consigliere comunale Mauro Randi, Miriam Canestrini, membro della segreteria provinciale Pd, e Luigi Tava, assessore di Ora. Un addio senza rimpianti, causato proprio dalle «candidature paracadute»: un diktat anche per il segretario provinciale Alessandro Huber, che alla fine ha comportato l’esclusione dalle liste di Luisa Gnecchi, deputata uscente.

Randi annuncia un nuovo gruppo politico in Comune, che continuerà a sostenere il sindaco-city manager Renzo Caramaschi (in carica dal 23 maggio 2016). D’altro canto, lancia un implicito invito a un voto alternativo alle Politiche: «LeU ha candidati locali…».

Durissima l’assessore Franch: «Il Pd è diventato preposto alla gestione del potere, un pezzo per volta ha smesso di essere il luogo della discussione politica, della pianificazione e della ricerca del bene comune. Lascio il Pd non per smettere di fare politica, se mai per iniziare davvero a farla».

Così nel B & B di Bolzano restano solo fedelissimi. I fuoriusciti rimproverano perfino a Bressa di aver sposato la toponomastica senza bilinguismo, mentre a Boschi imputano accordi sottobanco con la Svp soprattutto in materia sanitaria.

A proposito di sanità dolomitica, è appena divampata una tangentopoli con la Procura di Trento che ha disposto sette arresti (fra cui due tecnici degli ospedali di Bolzano e Merano) più il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione nei confronti di Tecno Service Srl di Roma ed Heka Srl con sede a Trapani.

Intanto nell’intero Nord Est la vigilia elettorale del Pd è infarcita di difficoltà, critiche, apprensioni. L’ex senatore e sindaco di Padova, Paolo Giaretta, ha pubblicamente confessato che voterà «turandosi il naso» come fece Montanelli con la Dc. In Veneto soltanto Nicola Pellicani a Venezia può, forse, evitare la Caporetto nei collegi uninominali spartiti dal centrodestra.

E a Trieste l’eterno ritorno di Riccardo Illy si rivela imbarazzante per il Pd ormai in ginocchio. Candidato al Senato, si presenta come indipendente senza tessere di partito. Di più: preannuncia l’eventuale adesione al gruppo misto. Non basta, perché Illy sull’immigrazione sbandiera una posizione originale quanto interessata, da imprenditore della politica.

«Il ministro Minniti ha dimezzato gli sbarchi ma il problema non è risolto – ha detto – L’economia tedesca è cresciuta più della nostra grazie agli immigrati: abbiamo bisogno di certe tipologie e dovremmo andare a cercarle, per organizzare un sistema di prima accoglienza, educarli alla lingua e alla cultura italiana, formarli e avviarli al lavoro e dare loro case. La vera emergenza è che se ne vanno, lasciando le imprese senza lavoratori».