La riforma costituzionale arriverà al voto, comunque vadano le cose, il 13 ottobre. Non è quello che volevano il governo e il partito di Matteo Renzi. Avevano in mente un’altra data: l’8 ottobre. Pochi giorni, ma che avrebbero cambiato le cose. Con una simile accelerazione, di fatto quasi nessun emendamento sarebbe stato votato. La vera posta in gioco, però, era un’altra: sarebbe stato possibile arrivare al voto finale entro gennaio del 2016, in tempo per indire il referendum prima dell’entrata in vigore dell’Italicum. Ma quando nella conferenza dei capigruppo del Senato il governo, per bocca di Maria Elena Boschi appoggiata dal capogruppo Pd Zanda, ha tentato l’ennesima forzatura, il presidente Grasso ha mostrato un sussulto d’orgoglio e si è opposto: «Non sono e non voglio passare per il boia della Costituzione».
La ministra ha giustificato la richiesta con la necessità di approvare le unioni civili. Aveva già preparato il terreno affermando che se quel provvedimento non potrà essere approvato prima della legge di bilancio sarà solo per colpa «dell’ostruzionismo», cioè dei 60mila emendamenti di Sel e degli 82 milioni e passa firmati da Roberto Calderoli. Era un bluff e lo si è dimostrato quando in conferenza la presidente del gruppo misto Loredana De Petris, Sel, ha replicato: «Se davvero tenete alle unioni civili incardinatele in aula lunedì prossimo». Offerta immediatamente respinta.

Lo scontro tra governo e Pd da una parte e presidente del Senato dall’altra ha spinto le opposizioni a fare blocco con Grasso. De Petris ha ritirato la stragrande maggioranza degli emendamenti, portandoli a un migliaio, per togliere al governo l’alibi dell’ostruzionismo. Calderoli ha falcidiato i suoi, ritirandone per ora circa 10 milioni e lasciandone solo una manciata sugli articoli 1 e 2. Probabilmente farà lo stesso anche con la tonnellata di emendamenti ancora in campo. Lo stesso leader del Carroccio Salvini ha di fatto sconfessato la strategia ostruzionistica: «Gli emendamenti li terrei in caldo per le cose serie, come l’abolizione della Fornero». Persino l’M5S aveva in un primo tempo accettato l’agenda proposta da Grasso, salvo ripensarci dopo l’arrivo di un ordine di scuderia contrario. Ma anche così i pentastellati hanno evitato di creare troppa tensione al momento del voto dell’aula sul calendario (necessario dal momento che non si era raggiunta l’unanimità).
Sull’esito delle votazioni, per non parlare del voto finale, non c’è più nessuna suspence. I senatori ribelli del Pd hanno deciso quasi tutti di fingere che sia stata raggiunta una mediazione e voteranno sì, pur sapendo che l’emendamento della concordia ritrovata non renderà elettivo il Senato, ipotesi che Renzi non ha mai neppure preso in considerazione. Le previsioni dicono che a non allinearsi dovrebbero essere solo due senatori: Corradino Mineo, che ha già annunciato il suo voto contrario, e Walter Tocci.

Bersani, che nella minoranza è stato il principale artefice dell’accordo, difende l’intesa. Giura che «il Senato sarà elettivo e non c’è stato nessun cedimento». In realtà a determinare la resa della minoranza è stata la consapevolezza che la riforma sarebbe stata approvata anche senza i suoi voti, grazie al successo dell’operazione Verdini: a frenare l’emorragia del partito azzurro, a questo punto, è proprio Verdini, che preferisce tenere i potenziali fuoriusciti pronti a entrare in azione quando sarà necessario, come cellule dormienti. La superfluità dell’opposizione interna al Pd sarebbe stata così evidente. Ma è possibile che nei leader della minoranza alberghi anche l’illusione di strappare a Renzi una modifica dell’Italicum. Proprio questo sarebbe stato uno dei principali argomenti adoperati da Bersani per convincere i più riottosi.

L’ex segretario non è il solo a sperarci. Il capogruppo Fi Romani è andato nei giorni scorsi a parlarne con la presidente della commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro, e per giorni ha ripetuto ai suoi che dalla partita delle riforme Berlusconi dovrebbe non sfilarsi del tutto proprio perché si potrebbe arrivare a modificare la legge elettorale passando dal premio di lista a quello di coalizione. Lo stesso miraggio hanno sbandierato ieri i leader dell’Ncd, prima Quagliariello, poi lo stesso Alfano: «C’è ancora mezza legislatura per rivedere la legge elettorale». Le illusioni sono sempre le ultime a morire.