Quanto fa risparmiare veramente la riforma costituzionale, quel «miliardo» di cui parla dal principio il presidente del Consiglio? Alla domanda aveva già risposto nell’ottobre del 2014 la Ragioneria generale dello stato, fermandosi a 49 milioni di euro. Ieri ha risposto anche la ministra delle riforma Maria Elena Boschi nel question time alla camera. Proprio lei, in veste di ministra per i rapporti con il parlamento, aveva trasmesso il 18 novembre 2014 la nota della ragioneria al presidente della prima commissione della camera. Dunque conosceva la prudenza dei tecnici, prima di travolgerla con la sua risposta all’interrogazione di Sinistra italiana.

Gli stipendi risparmiati dei senatori sono l’unico dato certo: nell’ultimo bilancio poco più di 42 milioni. Boschi li conteggia tutti, mentre il capogruppo di Forza Italia Brunetta precisa che non dovrebbe, sarebbe più corretto sottrarre i 14 milioni che rientrano nella casse dello stato sotto forma di Irpef. In ogni caso, alle indennità la ministra aggiunge il totale delle diarie e dei rimborsi spese per i senatori, cioè altri 37 milioni. Tralascia il fatto che, anche dopo la riforma, i cento senatori residui andranno messi in condizione di lavorare. Dovranno venire a Roma, dal momento che sono consiglieri regionali e sindaci, dovrebbero avere una segreteria. Per questo la ragioneria generale aveva fissato i risparmi a 49 milioni, ma la ministra arriva a 80.
E non si ferma. Aggiunge altri 70 milioni per «le spese delle commissioni e le riduzioni nei trasferimenti ai gruppi».La cosa curiosa è che il totale di queste spese nell’ultimo bilancio del senato supera di poco i 22 milioni: più che risparmio si tratta di un miracoloso guadagno. Misterioso anche il risparmio sui costi del personale. Il costo più grande, assieme a quello per le pensioni degli ex senatori (che con la riforma crescerà). Ma nessun dipendente, comprensibilmente, sarà licenziato. Neanche Boschi in questo caso ha fatto previsioni, parlando di «progressiva diminuzione nel tempo», chissà. Ha aggiunto però 20 milioni per la cancellazione del Cnel (dovrebbero essere 18 secondo la già citata nota della ragioneria generale) e soprattutto ben 320 milioni dall’abolizione delle province.
Ecco allora che, anche prendendo per buoni i numeri del governo, il vero risparmio della riforma del bicameralismo arriverebbe da una novità marginale, il completamento di quanto già previsto dalla legge Delrio. Le province sono già state abolite nei loro organi elettivi con legge ordinaria, tant’è che i presidenti e i consiglieri provinciali da due anni non ricevono alcuna indennità aggiuntiva rispetto a quella di consiglieri comunali. E non si vede cosa altro si potrebbe risparmiare.

Sommando tutte queste previsioni assai ottimistiche, non si riesce comunque ad arrivare a 500 milioni di risparmi. Il miliardo annunciato da Renzi (anche in tv, in polemica con Grillo) resta lontano. E così la ministra Boschi ha aggiunto la fantasia all’ottimismo. «Il punto vero – ha detto – è quanto in realtà crescerà di più il nostro paese, quanto Pil in più produrrà attraverso un sistema che finalmente dà stabilità». C’è qualcuno che può rispondere? Sì, secondo la ministra: «L’Ocse ha detto che nei prossimi dieci anni avremo una crescita in più del Pil dello 0,6% grazie alle riforme politiche e istituzionali». Una notizia clamorosa: duecento senatori in meno, un nuovo sistema di approvazione delle leggi ed ecco che l’Organizzazione per lo sviluppo economico ci «regala» 10 miliardi all’anno per 10 anni.
Purtroppo neanche questo è vero. Il riferimento della ministra è all’Economic survey del febbraio 2015 che già le aveva suscitato un tweet di entusiasmo. L’Ocse in effetti apprezzava la riforma costituzionale, immaginava che sarebbe stata approvata entro l’anno (l’anno scorso) ma passando ai numeri conteggiava solo le riforme economiche: mercato del lavoro, sistema fiscale, giustizia per le imprese. Niente riforme istituzionali, che non compaiono neanche nel Survey 2016 – volendo dare un’occhiata a qualcosa di più recente. Le (discutibili) raccomandazioni dell’Ocse all’Italia si concentrano tutte su altre riforme: per la crescita serve intervenire sui crediti bancari in sofferenza, sulle infrastrutture e soprattutto sulla disoccupazione. Dimenticate il senato e i suoi fanta miliardi.