Il rito, la rabbia, l’intimidazione. L’anniversario della strage di via D’Amelio condensa tutto questo. Corone d’alloro simboliche, fiumi di parole spesso vuote, retorica a go-go, mentre le agende rosse di Salvatore Borsellino gridano alla verità ormai da tanto, troppo tempo. Undici processi non sono bastati. Depistaggi, servizi deviati, falsi pentiti hanno addensato ombre oscure sulla tragica fine di Paolo Borsellino e degli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter eddie Cosina e Claudio Traina.

Ventiquattro anni sono trascorsi dalla strage che rimane avvolta nel mistero. Inquietante che mentre a Palermo, nell’indifferenza della città, alle 16.58 in via d’Amelio, all’ora esatta della strage, riecheggiavano nel silenzio i nomi delle vittime, a Castelvetrano, la città del boss latitante Matteo Messina Denaro, qualcuno incendiava gli alberi della villa comunale, intitolata proprio a Borsellino e a Falcone, pochi minuti dopo la conclusione della cerimonia commemorativa con Francesco Messineo, l’ex procuratore capo di Palermo, nominato commissario dopo lo scioglimento per mafia del consiglio comunale. Tocca ancora una volta a Salvatore Borsellino, indomito, urlare la rabbia delle agende rosse. «Mio fratello è stato ucciso da un mostro che aveva la testa dello Stato e il corpo della mafia, uno stato deviato che ha decretato l’attentato e la sparizione dell’agenda».

E’ stanco Salvatore dopo tutti questi anni, «sto perdendo la fiducia di avere uno straccio di verità finché sono in vita, anche se non mi rassegno». Uno Stato dove, per il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, «ci sono ancora troppi corrotti, troppi mafiosi e troppi depistaggi». «Ci vuole un’antimafia sociale forte», ragione De Magistris, «una politica che rompa ogni collusione con i colletti bianchi, che tolga l’ossigeno politico alle mafie, schierarsi è fondamentale: questo Paese deve sapere chi lo ha tradito, un Paese che ha nelle sue fondamenta la trattativa che Paese è?». Si guarda intorno, in via D’Amelio, Giovanni Impastato, fratello di Peppino, assassinato dalla mafia di Tano Badalamenti.

«Oggi qui dovremmo essere molti di più – si rammarica – Senza memoria non ci può essere futuro e la memoria deve portarci alla verità sulla strage e sulla trattativa. Questo deve essere il nostro obiettivo». Per Impastato «la mafia non è un anti-Stato ma è nel cuore dello Stato e questa è una realtà che dobbiamo trasmettere alle nuove generazioni e che dobbiamo combattere con un impegno civile e culturale». Sulla «legalità che ha cambiato il suo Dna» riflette invece Roberto Scarpinato, procuratore generale della corte di Appello di Palermo: «Ai tempi di Paolo Borsellino la legalità era quella che garantiva i diritti, dopo le stragi c’è stata una grande promessa di coniugare legalità e sviluppo, a questa promessa la gente per tanto tempo ha creduto».

Ma «oggi questa promessa non è stata mantenuta, la Sicilia è la regione più povera di Italia e dove è più forte la diseguaglianza economica, lentamente la legalità ha cambiato il suo Dna – insiste – avanza una nuova legalità che invece di attribuire i diritti li depotenzia subordinandoli ai diritti del mercato». E ciò, per il procuratore, «chiama in causa una politica che sembra avere cancellato dalla sua agenda la questione meridionale e che non si rende conto che se la legalità non produce giustizia sociale e uguaglianza economica comincia a perdere credibilità».

Oggi la direzione nazionale antimafia riunirà le procure di Palermo, Caltanissetta e Reggio Calabria che si stanno occupando delle indagini collegate alle stragi per fare il punto su quanto fatto finora. Dalle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza sono scaturite due svolte: quella che ha portato alla revisione del processo a sette personaggi già condannati all’ergastolo e quella che ha innescato un processo quater a carico dei boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino e dei pentiti taroccati Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci.

Questo ha anche alzato nuove ombre sulle strategie e sugli obiettivi di chi ha guidato la macchina investigativa.