Alla sua morte nel 2006, il New York Times definì Walerian Borowczyk «il regista di fama mondiale descritto a intermittenza come un genio o un pornografo, o meglio un genio a cui capitò anche di essere un pornografo». Non fu unico testimone sensuale e libertario, il polacco/francese Boro, a subire i limiti dominanti del pensiero repressivo su «arte e immoralità», ma, trascorsi i fulgidi anni Settanta del suo cinema migliore (La Bestia, Il Margine, Tre donne immorali?), ciò che venne dopo contribuì involontariamente alla vulnerabilità di uno sguardo assimilato non per le sue singolari proprietà quanto per mancanza di adesione conformista al proprio tempo, al di la’ dello stile. È il caso di Ars Amandi (1983, girato in Italia), dal poema di Publio Ovidio Nasone, che, protagonista e praeceptor amoris (con il volto di Massimo Girotti), nella Roma dei primi anni dopo Cristo sancisce con i suoi insegnamenti lo spirito e le pulsioni dell’epoca, osservata in frammenti narrativi in una prospettiva anti-peplum e articolata in «occupazioni occasionali» non esclusivamente di schiave: un antico (e raro) esempio di offbeat erotica popolato di fanciulle, nobildonne, centurioni e animali, reali e di legno… Con Marina Pierro, Laura Betti, Michele Placido. (Disponibile su thefilmclub.it)

La scrittrice americana Agnes Newton Keith (1901-1982), stabilitasi con marito e figlioletto nel Borneo, di fronte alla minaccia dell’ingresso del Giappone nel secondo conflitto mondiale e della separazione dal marito, funzionario britannico, nasconde a quest’ultimo una gravidanza in ogni modo destinata a concludersi tragicamente. I due saranno inevitabilmente separati in differenti campi di detenzione – a seguito dell’invasione giapponese – e per la giovane madre (Claudette Colbert) inizierà un penosissimo calvario di schiavitù, il cui unico barlume di speranza per una via d’uscita sta nella considerazione del colonnello Michio Suga (Sessue Hayakawa) per la prigioniera occidentale e la sua opera letteraria…e la vita continua (Three came home) è un film del 1950 di Jean Negulesco (di origine romena, nonché pittore amico di Brancusi e Modigliani), il versatile hollywoodiano che non riuscì mai a essere né Wyler né Cukor: il punto di vista femminile nella dialettica col nemico sottolinea audacie e antagonismi travestiti da sottomissione, così da individuare in fretta i punti di crisi, oltre che della vicenda storica, delle stesse convenzioni del melò e del war movie. Scritto dal produttore Nunnally Johnson sulla base degli scritti autobiografici di Keith: sulla app OldMovies.

Intenzionata ad affittare una casa, l’inglese Helen Wells, docente all’università di Caen, raggiunge una località nei pressi di Alençon, dove fa qualche conoscenza con la gente del posto: tra questi i fratelli Danville, appassionati di caccia, e soprattutto spia di un insuperabile pregiudizio borghese e provinciale nei riguardi dell’altro sesso, tanto da far deragliare la meccanica del desiderio nell’orrore dello stupro, e anche peggio… L’anno di Salò (il 1975) è anche quello di La traque (in Italia Il sapore della paura), dimenticatissimo titolo (come il suo regista Serge Leroy) di culto «rimosso», poco prima che i termini «choc» e «disturbante» perdessero forza nella melassa del giudizio (a)critico. Con Mimsy Farmer e il meglio dell’interpretazione francese dell’epoca, da Jean-Pierre Marielle a Michael Lonsdale, da Michel Constantin a Philippe Leotard, corpi sociali brutali simbolo del fallimento maschile. Restaurato in Blu-ray da Le Chat Qui Fume (www.lechatquifume.com)