Si è concluso il quarto atto delle demolizioni coordinate dalla procura di Foggia all’interno dell’operazione «Law and Humanity». Sin dall’alba, chi risiedeva nelle baracche era indaffarato a smontare ogni singola porta o lamiera della propria casa per caricarla sul furgone e, probabilmente, ricostruirla un po’ più in là, in attesa del prossimo sgombero. Ieri sono state abbattute circa 30 unità. All’arivo delle ruspe non sono mancati momenti di tensione con alcuni dei residenti che hanno lanciato pietre contro la polizia e gli agenti che hanno risposto con un lancio di lacrimogeni. Da Roma Matteo Salvini ha commentato l’operazione con i soliti toni da propaganda: «Avanti con le ruspe per il definitivo smantellamento dell’insediamento abusivo , come abbiamo già fatto con San Ferdinando. Nessuna tolleranza per l’illegalità», ha detto il ministro dell’Interno.

La soluzione abitativa offerta ai migranti sgomberati dista oltre 60 chilometri da Borgo Mezzanone e accettarla significherebbe perdere ogni contatto di lavoro maturato negli anni. Senza contare che solo chi è in possesso di un documento sarebbe stato autorizzato al trasferimento. Non a caso solo uno, dei 64 migranti sgomberati, ha accettato l’abitazione offerta mentre tutti gli altri sono rimasti nel campo.

Una settimana fa, a pochi metri dalle baracche smantellate, il segretario generale Cgil Maurizio Landini sosteneva: «Credo che non si possa vivere in quelle condizioni e che sia necessario affrontarle. Questa è gente che lavora e che avrebbe il diritto di avere la possibilità di vivere dignitosamente come ogni altra persona», sottolineando la responsabilità dei datori di lavoro a provvedere al vitto per gli stagionali impiegati nelle loro aziende. Ha poi aggiunto che «non bisogna combattere i neri, ma il lavoro nero e il caporalato».
Tra le macerie di un bar c’è M., migrante afghano e proprietario di quei mattoni che fino a ieri erano la sua unica fonte di reddito. In Italia dal 2008, M. non ha mai rifiutato un lavoro, anche se in nero e malpagato. Dopo quasi dieci anni era riuscito a mettere da parte la somma necessaria per poter diventare il padrone di se stesso. Scoraggiato dalla burocrazia decide di aprire un’attività «sommersa» all’interno del Ghetto, vendendo bibite analcoliche e pollo con riso. «Domani andrò a Macerata, o a Milano» dice con lo sguardo vitreo «non voglio ricostruire il bar per poi farlo demolire di nuovo».

In assenza di soluzioni concrete si è deciso di prendere i migranti per sfinimento, demolire un po’ alla volta i fabbricati sperando che il problema si risolva da solo.
In un comunicato della rete di associazioni della provincia di Foggia si legge che «i problemi non si risolvono con gli sgomberi. La misura non è efficace ma deleteria e aumenta la precarietà di queste persone. Non viene offerta alcuna soluzione strutturale. Bisogna invece strutturare una risposta, non ha senso operare con questa modalità irresponsabile, che porta solo benefici mediatici e aggrava la condizione di instabilità delle persone sottoposte alle sgombero».

Tra i firmatari ci sono anche Africa United e Aiims, associazioni create da immigrati presenti nel territorio di Foggia. Parte del direttivo è composta da membri che vivono negli insediamenti informali nelle provincia di Foggia, portatori di diretta esperienza di condizioni di isolamento e marginalità. «In questo sgombero nessuno si è spostato dalla pista, le persone sono ancora lì – dice Alessandro Verona, referente medico unità migrazioni Intersos -. I due pullman sono andati via vuoti, questo significa non conoscere minimamente le esigenze di chi vive nella ex pista. Il punto focale è l’inserimento nel processo lavorativo, è impensabile che questa gente sia ghettizzata anche dal punto di vista istituzionale. Così facendo queste operazioni estetico-propagandistiche risulteranno inutili, oggi come ieri e domani».