Gli «errori» di Marx – le previsioni sbagliate di cui a lungo si è discusso all’interno del marxismo, come la tesi sull’impoverimento crescente del proletariato, o la legge circa la caduta tendenziale del saggio di profitto che avrebbe dovuto condurre a una crisi risolutiva del capitalismo – possono essere ricondotti a quello che fu il suo unico grande errore: avere preteso di dare alla propria concezione un carattere predittivo sul modello delle scienze naturali. Ma a una teoria sociale critica non si chiede di formulare pronostici: piuttosto di aprire spazi di visibilità sulla realtà storica del proprio tempo. E questo Marx seppe farlo in maniera incomparabile.

SI RESTA AMMIRATI oggi non dal pur grandioso tentativo di dare basi «scientifiche» al socialismo sottraendolo all’utopismo, quanto dall’acuta sensibilità dell’analista che ha scritto saggi come Le lotte di classe in Francia e Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte. Marx qui ha applicato in modo creativo – per nulla meccanico o riduttivo, com’è accaduto successivamente in molti suoi seguaci – il metodo del materialismo storico basato sull’esame puntuale degli interessi economico-sociali e politici delle parti in conflitto, non meno che su quello delle loro posizioni ideologiche.

È la «tradizione storica» – sostiene Marx nelle pagine finali del 18 brumaio, analizzando il ruolo della classe contadina nell’ascesa dello sbruffone che prenderà il nome di Napoleone III – ad avere indotto nei contadini francesi la «credenza miracolistica che un uomo chiamato Napoleone renderà loro tutto il loro splendore. […]L’idea fissa del nipote si è realizzata perché essa coincideva con la classe più numerosa della popolazione francese». E poco più avanti, quasi a rispondere anticipatamente all’accusa di finire in un determinismo storico: «Intendiamoci. La dinastia dei Bonaparte non rappresenta il contadino rivoluzionario, ma il contadino conservatore»: ossia quello che si avvinghia al passato, al «fantasma dell’impero» del primo Napoleone, per restarsene nel piccolo privilegio del suo pezzo di terra.

COME SI VEDE già da queste poche citazioni, il fattore soggettivo, insieme con la distinzione rivoluzionario/conservatore che rinvia a una opzione di tipo politico, appare l’elemento decisivo per definire una condizione di classe. Non diversamente dalla borghesia delle città che, anteponendo il suo interesse immediato, verrà meno all’interesse generale di classe, alla sua missione storica, consegnandosi a sua volta nelle grinfie del Bonaparte. E non diversamente dal sottoproletariato urbano che sarà, insieme con la soldataglia, la massa di manovra del colpo di Stato del 2 dicembre 1851.

IN QUESTO CONTESTO Marx non si occupa delle circostanze «obiettive» della compravendita della forza-lavoro, che darebbero luogo a un contrasto di interessi insito nelle cose, per volgersi invece alla descrizione e all’analisi della disposizione delle forze in campo. Il proletariato di Parigi, sconfitto nell’insurrezione del giugno 1948, non si farà trascinare in un bagno di sangue in risposta al colpo di Stato. Risparmierà le energie per un appuntamento successivo, perché la talpa rivoluzionaria scava la sua strada a poco a poco.

C’è in questa teoria delle classi sociali l’accento su un aspetto soggettivo che la pone agli antipodi del determinismo storico. C’è un momento politico insopprimibile, insieme con la ricerca della radice sociale dei conflitti che spinge a una critica della politica così come si presenta, con le sue alchimie parlamentari (non si dimentichi che il colpo di Stato bonapartista ebbe luogo contro la seconda repubblica francese). È su una ridistribuzione delle carte nel corso del conflitto che la rivoluzione proletaria dovrebbe puntare, sebbene questa chance alla fine non si profili. Anzi, la stessa analisi disincantata dell’eclissi politica della borghesia mostra la sopravvalutazione del ruolo rivoluzionario riservato, nella generale concezione marxiana, alla modernità capitalistica. In realtà questa è sempre pronta al compromesso con le forze del passato, allo stesso modo in cui la borghesia è disposta a sacrificare l’ideale repubblicano pur di ottenere la tranquillità di cui ha bisogno per lo svolgimento dei propri affari.

L’ILLUSIONE SULLA FUNZIONE storica progressiva della borghesia contribuisce a spiegare perché le profezie di Marx non si siano realizzate, perché lo stesso proletariato industriale non abbia mai potuto trovare il momento per una vincente irruzione in forze, perché la lotta mortale tra le classi abbia condotto nel Novecento a una sorta di stallo epocale.

Oggi, al tempo della retorica intorno all’«imprenditore di se stesso», nell’isolamento postfordista della forza-lavoro, il dispiegarsi del conflitto sociale – chiamando così, in un’accezione più ampia, la «lotta di classe» – appare la vera utopia, l’orizzonte cui guardare dopo il tramonto del «socialismo scientifico».

 

IL CONVEGNO

Tre giorni dedicati al filosofo di Treviri

«Marx e la critica del presente (1818-2018)» è il tema del convegno che si terrà a Roma (da oggi al 29) al Goethe-Institut e alla Sapienza, organizato dalla Fondazione per la critica sociale.

Relatori: R. Finelli, T. Toffanin, L. Basso, F. Andolfi, S. Petrucciani, R. Genovese, V. Morfino, F. Giardini, R. Bellofiore, M. Ricciardi, J. Mascat, G. Cesarale, M. Pezzella, D. Balicco, M. Prospero, F. Raparelli, M. Gatto.