Il reggae in Italia, dopo la spinta degli anni ’80 e parte dei ’90, è un tantino scomparso dei radar, eppure ai concerti trovi sempre un numeroso pubblico di affezionati che si divertono. A tenere alta la bandiera ci sono i salentini Boomdabash con Barracuda (Universal), il nuovo album uscito a metà giugno anticipato dal riuscitissimo singolo Non ti dico no, feat Loredana Bertè. Il cantante Biggie Bash, che fa da portavoce alla band, ci racconta cos’è cambiato nella scena italiana e, se a un certo punto, anche loro non si sono sentiti dinosauri in via d’estinzione: «Il problema del reggae non trattato con il rispetto che merita è una questione italiana.

In paesi come Francia, Germania, Inghilterra, il reggae ha un posto importante nel panorama musicale nazionale e nel mainstream, perché gli viene riconosciuto l’enorme background storico e culturale. Ad ogni modo, la scena è cambiata, anche quella salentina. L’avversione nei confronti di chi riusciva a portare il reggae al di fuori dei confini del circuito underground, il rifiuto quasi completo di qualsiasi forma di contaminazione musicale, hanno segnato la ghettizzazione di questo genere. A un certo punto, si è smesso di ricercare unità e coesione lasciando spazio alle divisioni e all’hateraggio sfrenato. Noi abbiamo da subito identificato questa cattiva tendenza e ne avevamo anche previsto gli effetti, senza pensare che fosse la fine di un’era, perché il mondo non vedrà mai la fine della reggae music».

Anche in questo disco gli orizzonti fisici sono appunto quelli del Salento, mentre quelli musicali sono internazionali con tante influenze e contaminazioni che si sovrappongono alla musica popolare a cui sono legati: «Noi amiamo la musica, tutta, ne ascoltiamo tantissima e di diversi tipi, per questo non ci siamo mai lasciati condizionare da schemi blindati di produzione. Non lavoriamo con i paraocchi, anzi, la contaminazione l’abbiamo cercata da sempre e continuiamo a farlo. Questa è la caratteristica che più amo dei Boomdabash e che abbiamo estremizzato ancora ed ancora in questo nuovo lavoro».

Infatti le collaborazioni con Fibra e Loredana Bertè sono particolarmente riuscite. Fibra sulla carta è immaginabile nel contesto drum and bass e hip hop, ma Loredana Bertè porta una ventata di pacifica follia: «Siamo da sempre stati dei fan di Loredana, una vera rockstar. Avevamo deciso di provare a proporle un brano su cui lavorare insieme, certi che il responso sarebbe stato negativo. Invece il brano le è subito piaciuto e abbiamo fissato la data per le registrazioni. Il risultato è stato grandioso». Resta la spiccata sensibilità per i temi dell’attualità, per esempio nell’album del 2015 il video di Un attimo era stato girato con i detenuti del carcere di Lecce. L’intero album è intriso di libertà, pace e denuncia sociale ma spiccano in brani come Barracuda o Boss.

L’aria in Italia è cambiata, oltre a far ballare, il disco lancia alcuni messaggi: «Purtroppo l’aria che si respira in Italia non è delle migliori. Colpa di una classe politica incompetente e becera e di un italiano medio che ne è diventato schiavo e ha perso lo spirito critico e la voglia di farsi valere. Le battaglie sociali che conduciamo sono molte, alcune delle quali le combattiamo da 15 anni. L’augurio è che i nostri giovani, anche grazie a noi ed alla musica, riprendano il controllo delle propria vita, ricomincino a lottare per i propri diritti e per il futuro. Senza di loro, questo paese non può che sprofondare ancora di più in un baratro senza luce». A fine giugno partirà il tour che toccherà anche il Magnolia di Milano e l’Arena di Verona.