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Boombass, toccata e fuga

Boombass, toccata e fugaBoombass

Incontri/L’artista transalpino ha da poco pubblicato la sua autobiografia Ex membro dei Cassius, è stato tra i maggiori rappresentanti della scena French Touch. «Non so se e quando tornerò a incidere dischi, per ora preferisco scrivere»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 2 aprile 2022

I Cassius sono stati uno dei gruppi più rappresentativi della musica elettronica francese, tra i maggiori rappresentanti della club culture transalpina, quella scena definita – senza molta fantasia – French Touch e che, soprattutto tra la metà degli anni Novanta e il primo decennio dei Duemila, ha prodotto una lunga serie di hit riscuotendo successo in tutto il mondo, non solo grazie ai Daft Punk. Una delle canzoni più note dei Cassius, Toop Toop, fa da colonna sonora alla prima scena de Il divo (2008) ma, come ci ha rivelato Hubert Blanc-Francard (1968), anche noto come Boombass, metà del duo parigino, prima dell’uscita del film non c’è stato alcun contatto con Paolo Sorrentino. L’unico incontro tra il regista napoletano e i due dj e producer francesi è avvenuto nel 2018 in occasione di una «cena culturale all’ambasciata italiana a Parigi – racconta Blanc-Francard -. È stato abbastanza surreale, ma Philippe e io abbiamo potuto discutere di cucina italiana con Sorrentino prima di incontrare Fanny Ardant. Eravamo felici». Philippe Cerboneschi, in arte Zdar, secondo membro del gruppo, è scomparso in un tragico incidente a giugno del 2019 mettendo fine a questa brillante avventura musicale che Blanc-Francard racconta in un libro uscito la scorsa estate (per ora non disponibile in italiano): un’autobiografia in cui l’artista ripercorre tutta la propria storia musicale che, inevitabilmente, incrocia anche quella del suo grande amico, con cui ha condiviso circa 30 anni di esperienze musicali e di vita. Il libro si intitola Boombass-Une histoire de la French touch, è uscito per le Éditions Léo Scheer di Parigi e restituisce bene il fermento di una scena che, preceduta dai primi successi della generazione di Laurent Garnier, dalla metà degli anni Novanta in poi ha prodotto artisti capaci di segnare la storia mondiale dei ritmi elettronici come Daft Punk, Justice e Air ma anche Étienne de Crécy, Dimitri from Paris, Mr. Oizo, Motorbass (primo storico gruppo di Zdar) e tanti altri.

GLI INIZI
Nei primi capitoli, Blanc-Francard racconta che, dopo qualche esperienza negli studi di registrazione a fianco del padre Dominique, noto ingegnere del suono, è entrato ufficialmente nel mondo della musica a fine anni Ottanta iniziando a lavorare in una major, Polydor France, di cui è stato direttore artistico. È interessante scoprire, nelle pagine in cui ne parla, come non fosse l’unico futuro musicista in quegli uffici perché lavorava nella stessa squadra di Philippe Cohen-Solal, poi diventato fondatore dei Gotan Project. Proprio durante questo periodo Blanc-Francard ha scoperto e lanciato il primo grande talento del rap francese, MC Solaar, apprezzato anche all’estero tanto da finire, nel 1993, in Jazzmatazz Volume 1 di Guru, storico disco che ha avvicinato il mondo del jazz a quello dell’hip hop. Erano tutt’altri tempi per il mercato discografico, in cui, per soffermarsi su un aspetto emblematico, c’era ancora spazio per scovare talenti sconosciuti senza passare dai numeri dei social e delle piattaforme streaming ma, magari, frequentando i locali dove si suonava dal vivo. «Sono entrato in Polydor nel 1988 – racconta Blanc-Francard -, nel secolo scorso, quindi i cambiamenti che ci sono stati sono grandi come quelli che il mondo ha visto da allora. La tecnologia, la comunicazione, la produzione e la distribuzione sono cambiate. Internet e lo streaming hanno reso obsoleta l’idea di comprare un album o un singolo in un negozio di dischi, quindi il rapporto con l’opera dell’artista è cambiato. Nel 1988, per il pubblico, la stampa musicale e le stazioni radio erano gli unici mezzi per tenersi aggiornati sulle uscite e sulle apparizioni dei nuovi artisti. Registrare musica era costoso e richiedeva molta organizzazione. Poi, i computer e le nuove tecnologie hanno semplificato questo processo. È stato anche semplificato commercialmente, dato che il 90% di tutto si fa via internet. Oggi, grazie agli abbonamenti sulle piattaforme, chiunque può ascoltare assolutamente tutto quello che vuole, tutte le musiche possibili. Un telefono o un computer danno accesso alla più incredibile collezione di musica. Penso che un ragazzo di 15 anni oggi, se ne ha voglia, può, in pochi anni, costruirsi una cultura musicale che era inimmaginabile fino a 25 anni fa, e per meno di 200 euro all’anno. Per me questo è un miracolo perché la musica rimane accessibile nel tempo. Mentre si sta nel proprio letto si può scoprire un album magico pubblicato cinque anni fa. Quello che, invece, non è cambiato e non cambierà mai è il numero di posti sul podio del successo. Ma a differenza di trent’anni fa, oggi è possibile pubblicare musica, senza difficoltà, anche senza le case discografiche».

AFFINITÀ
Eppure al grande successo internazionale della French Touch, oltre all’unità di una scena che aveva legami forti, in alcuni casi quasi familiari, ha contribuito anche la mano della discografia: «Secondo me – continua Boombass – il merito di quell’exploit va un po’ alle hit, soprattutto quelle dei Daft Punk, e un po’ al lavoro e all’investimento di Virgin France. Tutto quanto accaduto ha richiesto molto lavoro e denaro da parte loro, bisogna riconoscerlo. Emmanuel de Buretel, che all’epoca era il capo di Virgin Europe, ha contribuito in modo particolare al successo di questa tendenza in tutto il mondo. Poi, in quella scena eravamo e siamo amici. Ci siamo trovati sulla stessa strada per affinità musicale, per chimica umana, e devo ammettere che sotto la direzione di Pedro Winter (noto anche come Busy P, è stato il primo manager dei Daft Punk e fondatore della Ed Banger Records, con cui ha contribuito all’affermazione dei Justice, ndr) sembravamo spesso un gruppo di cugini».
Facendo un passo indietro, dopo il lancio di MC Solaar, Boombass e Zdar hanno esordito per un’etichetta di culto inglese, la Mo’ Wax, firmandosi La Funk Mob: erano anni in cui l’hip hop strumentale, specialmente quel versante definito astratto, era molto seguito e l’etichetta di James Lavelle reclutava talenti in casa, negli Stati Uniti – vedi Dj Shadow – ma anche in Francia, appunto. Così il duo parigino ha sperimentato anche questo stile nei sei brani di Tribulations extra sensorielles (1994) prima della scoperta definitiva della house che ha segnato la vera svolta nella sua carriera. «In Francia, il rap e la musica elettronica sono nati quasi contemporaneamente – racconta il producer -. Ma non si può dire che la mia esperienza di mélange di stili dal 1993 in poi sia un riflesso dell’intensa relazione che c’era qui tra queste due tendenze in quegli anni. I ragazzi dell’elettronica avevano paura dei rapper all’epoca (ride, ndr). Oggi ascolto ancora molta musica, seguo l’elettronica e noto molte ramificazioni. Cerco sempre brani da suonare come dj e devo dire che ci sono innumerevoli talenti in Francia e gli stili si mescolano in tutti i modi. Probabilmente è dovuto alla tecnologia che rende più facile fare ciò che si vuole».
Boombass sta continuando il suo percorso musicale non solo come dj ma anche come producer: a giugno del 2020, un anno dopo la scomparsa di Zdar, ha pubblicato Le virage, un ep house con qualche rimando alla techno in cui ha anche cantato, anche se con uno stile più vicino allo spoken word che ad altro. Per ora non prevede di pubblicare un album solista, anzi, visti i buoni riscontri che sta ottenendo la sua autobiografia, vuole continuare in questo ambito: «Prima di pubblicare un album voglio vedere cosa accadrà nel mondo – ci confida -. Sembra il mondo di prima ma molto più a destra e completamente paranoico. Di conseguenza scriverò un altro libro».

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