L’aggettivo che più si addice a questa storia, iniziata sei anni fa e destinata forse a non avere fine, è ‘surreale’. A cominciare dallo strumento con cui è stata scritta. Non un computer, una macchina per scrivere e neppure una penna. Ma un cellulare dal quale sono partiti migliaia di messaggi, tweet, whatsapp, video, telefonate, mail. Surreale il luogo in cui continua a svolgersi, Manus Island, Papua Nuova Guinea, ritaglio di terra e giungla in mezzo all’Oceano Pacifico. Surreale nella sua disumanità la vita di coloro che della storia sono i protagonisti. E surreale la forma letteraria scelta, meglio dire creata, dal suo narratore, il giornalista e poeta curdo iraniano Behrouz Boochani: diario senza date, scarno e terribile, che sovente traspone la cronaca nella lirica dei versi, chiama a sé ricordi di infanzia e di guerra, trova solidi appigli nell’immaginario e nella mitologia.

Surrealismo raccapricciante, secondo la definizione di Omid Tofighian, anche lui iraniano, professore di filosofia presso l’American University del Cairo. Omid, traducendo dal farsi (la lingua persiana) all’inglese messaggi, tweet, whatsapp, video, telefonate, mail, ne ha fatto un libro, Nessun amico se non le montagne. Prigioniero nell’isola di Manus, pubblicato in Italia da Add Editore. «Sono tante le dimensioni della notte, e dividono. C’è chi ne teme il buio sinistro e chi ama lasciarsi ammaliare dalle danze delle sue ombre, chi vorrebbe sfuggirne l’opacità e chi invece la cerca perché in lei trova riposo, tregua, riflessione». Così il curatore Armando Bonaiuto, nell’introdurre il tema della quindicesima edizione di «Torino Spiritualità», Ad infinita notte. Il buio, l’ombra, la veglia. Dal 26 al 29 settembre, oltre centoventi tra filosofi, scrittori, docenti, psicanalisti, uomini e donne di fede, sociologi, attori, scienziati hanno esplorato le tre dimensioni dell’oscurità. La voce di Behrouz Boochani è risuonata nella dimensione del buio attraverso le parole di Omid Tofighian.

È il 2013, quando Boochani, perseguitato dal regime di Teheran, raggiunge clandestinamente l’Indonesia con l’obbiettivo di arrivare in Australia e lì chiedere asilo politico. «Tre mesi a vagare affamati per l’Indonesia… ma almeno adesso ce ne stiamo andando, lungo questa strada che attraversa la giungla, una strada che porta all’Oceano». Un camion lo lascia davanti al mare, insieme a lui decine di profughi da Africa, Iraq, Iran, Myanmar, Bangladesh… Il viaggio su un barcone quasi subito invaso dall’acqua, su un peschereccio arrivato in soccorso e infine su una nave militare australiana, occupa i primi quattro capitoli del libro. Una novantina di pagine dove, da subito, il surrealismo raccapricciante di Boochani si materializza nella forza crudele del racconto e nella tregua soltanto apparente dei corsivi poetici, «Un carrozzone di corpi stanchi/ piegati e immobili nel sonno/ lontano nella vastità dell’Oceano/ spazzato da onde gigantesche/ Sento l’odore della morte»; nei soprannomi che assegnano nuove identità, il Ragazzo dagli Occhi Azzurri, il Giovane Con la Coda di Cavallo, Il Tipo Robusto E Muscoloso, il Pazzo Sdentato; nell’estraniamento dei sogni e nell’evocazione dei ricordi. L’isola di Natal, approdo della nave con a bordo Behrouz e i profughi, è l’anticamera di un inferno che spalanca le sue porte in un’altra isola, Manus, e segna i suoi confini con le reti del campo di detenzione Fox per immigrati irregolari. Un inferno apparecchiato dall’Australia grazie agli accordi con la Papua Nuova Guinea. Qui, il surrealismo raccapricciante prende piena coscienza di ciò che può riuscire ad esprimere confrontandosi con le regole, le strategie, le efferatezze del Sistema Kyriarcale adottato dal governo e dalle forze di polizia australiani. Spiega in una nota a pie’di pagina Omid Tofighian «Il termine kyriarchia (dal greco kyrios, ‘signore’, e arcò, ‘governare’, ndr) è stato coniato nel 1992 dalla teologa cattolica e femminista statunitense Elisabeth Schüssler Fiorenza per descrivere la teoria dei sistemi sociali interconnessi, creati a scopo di dominio, oppressione e sottomissione. Abbiamo utilizzato questo termine allo scopo di etichettare la complessa struttura soggiacente al regime di detenzione australiano». In cosa consista, su quali basi poggi il Sistema, Boochani inizia a documentarlo dopo tre anni di isolamento, quando riesce a entrare illegalmente in possesso di un cellulare.

Lo perderà, altri gli verranno sequestrati o rubati, finché le maglie coercitive si allenteranno consentendogli di averne uno proprio. La Kyriarkia di Manus è un gigantesco meccanismo di ingranaggi che stritolano l’individuo. Kyriarchia è l’angustia e il calore atroce delle stanze, le file interminabili al momento dei pasti e le volute diseguaglianze nella distribuzione del cibo, la sporcizia maleodorante e perenne che rende ancora più umiliante servirsi dei bagni, la gentilezza solo apparente del ‘purtroppo non si può fare’ come riposta anche al più pietoso dei casi, il ricatto dell’acqua che all’improvviso viene a mancare e del generatore che smette all’improvviso di funzionare, le ipocrite e illusorie visite lampo del Primo Ministro, la falsa tolleranza nei confronti del detenuto istrione ribattezzato Maynam la puttana, la bolgia non governata nella sala dei telefoni, l’annientamento della dignità e la disperazione che portano all’omicidio e al suicidio. Se il Sistema ha bisogno della violenza fisica, usa le punte metalliche dei guanti neri e i bastoni su corpi ridotti a pelle e ossa, coperti di piaghe. Se il Sistema vuole servirsi della violenza, fomenta la rivolta per giustificare il suo operato agli occhi del mondo.

Scrive nella prefazione all’edizione australiana del libro lo sceneggiatore e regista Richard Flanagan: «Le descrizioni del comportamento dei funzionari a Manus mi hanno ricordato con dolore quelle che mi faceva mio padre dei comandanti giapponesi nei campi dove lui e gli altri prigionieri di guerra australiani hanno tanto sofferto». Omid Tofighian, come è possibile che un Paese figlio di un’emigrazione forzata, si sia reso responsabile di un crimine così vergognoso? «L’Australia pratica la politica della deterrenza. Dimostrare quanto lì riescano ad essere spietati costituisce un avvertimento: ecco cosa succede a chi cerca di superare le nostre frontiere. So che sembra paradossale, ma Behrouz, con il libro, gli articoli, le interviste, diventa promotore della linea dura governativa. La tolleranza fittizia nei suoi confronti è il paravento dietro cui si nasconde l’Australia fascista. Il nome di Behrouz, lo stesso vale per tutti i migranti detenuti, era diventato un numero che non lo identificava come essere umano. A pronunciarlo un’unica volta è stato costretto un ministro durante la consegna del Victorian Prize 2019, il più importante premio letterario australiano». Lo scorso settembre, Behrouz Boochani è uscito dal buio di Manus. Ma la sua veglia continua nella prigione di Port Moresby, la capitale della Papua Nuova Guinea.