L’abolizione del «bonus maturità» rischia di produrre una serie, non ancora quantificabile, di ricorsi anche da parte delle famiglie che hanno pagato i corsi preparatori ai test nelle facoltà a numero chiuso. Il Condacons, ad esempio, ne ha annunciato uno al Tar del Lazio. Nelle ultime ore si sono moltiplicate le testimonianze di disappunto, o di vera e propria indignazione, tra chi si è preparato a lungo per ottenere un buon voto all’esame di maturità, pensando che servisse a garantire una posizione nelle graduatorie di accesso alla facoltà di medicina, di odontoiatria, di architettura o di veterinaria.

È il caso di Antonella, una madre bresciana intervenuta nella trasmissione Salvadanaio condotta da Debora Rosciani su Radio 24: «Sono allibita – ha detto – il ministro dell’Istruzione Carrozza a giugno ha spostato il test da luglio a settembre mentre le famiglie si sono preparate, con corsi privati, per sostenere questi test a medicina. Mia figlia ha studiato durante l’esame di maturità. L’abolizione del bonus è stata la ciliegina sulla torta. Questo non è un paese normale, siamo al terzo mondo studentesco». «Vuole sapere cosa ha speso la mia famiglia? – ha continuato – Mia figlia ha fatto il corso di Alpha Test, quello più economico, e abbiamo pagato 1150 euro. Quando il ministro Carrozza ha spostato la data del test, l’Alpha Test ci ha chiesto l’integrazione di 50 euro in più. Faremo ricorso sicuramente, noi come tante altre persone».

Il ministro dell’Istruzione Carrozza non ha preso bene queste, ed altre notizie insistenti sui ricorsi in arrivo. «Una brutta abitudine italiana – ha detto – Ci sono persone che pensano sempre a come fare ricorso. Non deve essere lo standard che ci si rivolge alla giustizia perché si perde un concorso». Il problema è che i test non sono «concorsi» e gli eventuali ricorsi sono il prodotto dell’ondivaga politica governativa.

Sul decreto scuola il Pd ieri era ancora in festa. E molti sindacati hanno apprezzato l’«inversione di tendenza» rispetto ai tagli epocali (8,4 miliardi alla scuola e 1,4 all’università) della Gelmini. Tra le pieghe di questo decreto da 400 milioni non emergeperò la soluzione al problema degli «inidonei» (3500 persone) o delle vittime della riforma Fornero, i docenti «Quota 96» (tra le 6 e le 9 mila persone). Per loro sarebbero necessari dai 100 ai 200 milioni che non ci sono. Il sindacato Anief non si fa tradire dalle sirene della propaganda «largointesista» e rivela un altro aspetto del decreto. «È un gran pasticcio – afferma Marcello Pacifico – Da parte del governo c’è la chiara volontà di assumere del personale e mantenerlo con lo stipendio bloccato a circa 1200 euro». A molti dei neo-assunti non sarà infatti riconosciuta l’anzianità di servizio. Si parla di anni di lavoro regalati alla spending review di Stato.

Un altro punto di vista sul caos è quello di chi ha conseguito il «Tirocinio Formativo Attivo» che, nelle intenzioni dell’ex ministro Profumo, avrebbe garantito un «ringiovanimento» e il riconoscimento del «merito» tra i docenti. La storia di Alessandro Viti, e di altri 11 mila abilitati «Tfa» come lui, rivela una realtà assai diversa. Dopo avere pagato 2500 euro, affrontato test e lezioni, con un esame finale, queste persone non sono state inserite in graduatoria e non potranno insegnare. A complicare la situazione sono arrivati i «percorsi abilitanti speciali» (Pas) riservati a chi ha svolto almeno tre anni di insegnamento. Quando saranno riaperte le graduatorie queste 35 mila persone (è una stima) supereranno gli abilitati «Tfa». In questo caso il conflitto creato dal Miur, e dalla politica, è tra il principio di «merito» (i Tfa hanno superato un esame e un concorso) e quello dell’«anzianità» di servizio. Il risultato è una «guerra tra i poveri».

Sono in arrivo almeno 4 ricorsi, mentre i funzionari stanno cercando una soluzione al caos (è previsto un incontro il 16 settembre).
Alessandro ci tiene a dire di non sopportare la retorica della «vittima» e non vuole cedere a quella della «meritocrazia» contro i «precari storici». Denuncia invece la frenesia burocratica che ha portato a questo esito sconfortante. «Non so se la scuola sarà la mia strada, ma quando ho vinto il Tfa speravo di avere le supplenze lunghe. Ero abbastanza convinto che il mio futuro fosse stabile almeno per quest’anno. Ora, con questa storia dei Pas è tutto scombinato. A me va bene fare un altro concorso, ma non so quando lo faranno. Sarà come ripartire da zero. Nel frattempo rischio di non avere la continuità di servizio».

Alessandro ha studiato letteratura italiana a Siena con Romano Luperini, ha scritto libri e articoli. Dice di essere «un ricercatore senza assegno né stipendio». È uno dei lavoratori che in Italia cambiano attività, ma coltivano la loro indipendenza. Per due anni ha lavorato come interinale all’Inps. Curava le pratiche della disoccupazione. Oggi si trova dall’altra parte del vetro. «All’Inps – conclude – capivo le ragioni delle proteste degli idonei, adesso mi ritrovo dall’altra parte, sono idoneo all’insegnamento ma non posso insegnare. Ci hanno messo gli uni contro gli altri, ma in realtà siamo dalla stessa parte. Questo è il fallimento delle politiche del lavoro e del reclutamento della scuola e dell’università».