E se i dati sulla natalità diffusi dall’Istat indicano una evidente difficoltà per le famiglie e in particolare per le donne a conciliare lavoro ed esigenze di vita, ieri è arrivata la notizia che il bonus bebè previsto in manovra potrebbe sì diventare strutturale, ma a un prezzo molto alto: durerà solo un anno, e non più tre, e il suo valore verrebbe dimezzato. Sarebbe pari a 80 euro solo nel 2018 (anno delle elezioni), ma nel 2019 e 2020 si ridurrebbe a 40 euro mensili per mancanza di risorse sufficienti: tanto che Ap, che ne ha fatto un cavallo di battaglia, chiede maggiori investimenti su tutti gli anni.

Confermata – almeno per il momento – l’esenzione dal superticket, ma riservata solo ai redditi più bassi, mentre verranno stanziati 50 milioni di euro (per i prossimi due anni) come fondo di ristoro per le vittime dei disastri bancari.

Tornando al bonus bebè, l’ultima versione dell’emendamento alla manovra prevede che il bonus varrà per il primo anno di età del bambino, o per il primo dopo l’adozione, e non più per tre anni. Per il 2018 saranno corrisposti alle famiglie 80 euro al mese, fino a 960 euro nel caso di nati a gennaio, mentre dal 2019 in poi l’assegno sarà di 40 euro al mese, per un massimo di 480 euro l’anno. La soglia Isee per accedere al beneficio resta fissata a 25 mila euro annui.

Quanto alla cancellazione parziale del superticket, si prevede lo stanziamento di 180 milioni di euro nei prossimi tre anni (60 milioni l’anno), ma con un meccanismo farraginoso che, come denuncia Mdp, rischia di mantenere in piedi le differenze già esistenti tra le varie regioni.

Altri 60 milioni in tre anni (20 l’anno) sono destinati a chi si prende cura dei familiari a carico, anziani o con disabilità: i cosiddetti caregivers. Avanza dei dubbi la segretaria Cgil Susanna Camusso: «Bisognerebbe vedere il provvedimento anziché sentire solo gli annunci – ha detto – perché ci sono degli interventi sull’assetto socio sanitario del Paese che sono dei tagli, quindi il rischio è sempre lo scambio».

E se l’Ance, l’associazione dei comuni italiani, si dice «soddisfatta» dalle misure adottate, le province invece lamentano che dalla manovra «non arriva nessuna risposta per risolvere l’emergenza gravissima dei fondi per mettere in sicurezza e gestire le strade provinciali e le scuole superiori». L’Upi, unione province italiane, denuncia «l’ennesimo rinvio deciso dal Senato su capitoli di finanziamento importanti» che riguardano la vita concreta dei cittadini.