L’alibi dell’Inps è crollato ieri pomeriggio. «Sulla base delle norme vigenti la privacy non è di ostacolo alla pubblicazione dei dati relativi ai beneficiari del contributo» recita il secco comunicato con cui il Garante smentisce l’Inps, secondo cui proprio l’obbligo di difendere la succitata privacy impediva di rendere noti i nomi dei tre parlamentari che hanno ottenuto il bonus di 600 euro, lievitato poi a mille euro, e dei due che non lo hanno ricevuto ma lo avevano pur sempre chiesto. L’Anac era andata giù anche più dura, assumendo la medesima posizione ma rincarando con la segnalazione che, trattandosi di funzionari pubblici, «le aspettative di riservatezza si affievoliscono».

NULLA OSTA dunque alla diffusione dei nomi dietro ai quali corrono dietro da 48 ore, anche con punte di vistosa esagerazione, i media compatti e buona parte dei loro fruitori, inclusi i politici. Ma Tridico tiene duro. Si trincera nel silenzio. Anzi praticamente scompare mentre si moltiplicano le critiche rivolte alla sua Inps, sia per la gestione del bonus sia per quella recente delle informazioni fatte filtrare in modo da garantirne la massima amplificazione. Iv e FdI chiedono la sua audizione in Parlamento. Il Pd «sta valutando l’ipotesi». Il renziano Anzaldi ipotizza la denuncia per diffusione di fake news.

L’EX PRESIDENTE della Camera Casini si rivolge al chi oggi occupa il posto che fu suo, l’attuale presidente Fico, esortandolo a reclamare quei nomi: «L’Inps non potrà rifiutarsi di renderli noti di fronte a una richiesta della presidenza della Camera». Lo stesso Fico, però, non pare particolarmente infervorato. Prova anzi a stemperare il clima d’isteria montato negli ultimi due giorni: «È opportuno che questi parlamentari chiedano scusa ma senza campagne d’odio. Non c’è stata violazione della legge». Opposta la posizione del compagno di Movimento e ministro degli Esteri Di Maio, che tuona per la terza giornata consecutiva da Fb: «Non ci sono ostacoli alla diffusione dei nomi. È giusto che gli italiani sappiano chi sono, che ne conoscano nomi e cognomi». Almeno in parte il tribunizio ministro ha ragione: pur se del tutto legittima da un punto di vista legale, la richiesta di accedere al bonus è senz’altro discutibile sul piano etico e della correttezza. Trattandosi di persone che hanno chiesto e forse chiederanno ancora il voto degli elettori sarebbe effettivamente utile che se ne conoscessero i nomi. Mantenendo però il senso delle proporzioni ed evitando di trasformare il caso, come è già di fatto avvenuto, in argomento contundente e strumentale ai fini della campagna referendaria. Il dubbio che le notizie siano state fatte uscire apposta per influenzare il voto del 20 settembre sussiste, anche se sono in pochi a esprimerlo a chiare lettere. Tra questi il senatore ex 5S Gregorio De Falco: «Si sapeva da aprile. Com’è che la notizia viene diffusa solo ora, e goccia a goccia in modo da moltiplicarne l’impatto sull’opinione pubblica? Senza contare che stiamo parlando dello 0,5% dei parlamentari quando lo stesso comportamento scorretto è stato molto più diffuso nelle altre categorie, ad esempio tra i notai che certo non avevano bisogno di quei 600 euro».

SI MOLTIPLICANO intanto i casi di consiglieri comunali che ammettono l’errore e annunciano che non si ricandideranno. O che, come nel caso dei tre consiglieri leghisti del Veneto, non saranno ricandidati d’autorità. I parlamentari, quando come è inevitabile se ne saprà il nome, dovranno decidere se dimettersi, e probabilmente non avendo commesso alcuna scorrettezza formale, non lo faranno. Del resto la Lega neppure lo chiede, limitandosi per ora alla «sospensione». La richiesta corale è che restituiscano il bonus ma anche questa sarà una loro scelta. Nel dl Agosto sarà inserito un tetto di 35-40 mila euro per gli iscritti all’Inps che dovessero chiedere il bonus ma la possibilità di rendere la norma retroattiva costringendo i parlamentari alla restituzione è praticamente inesistente.

NEL CORO antiparlamentare passa in secondo piano il fatto che i deputati nel mirino siano solo la schiuma sulla cresta di un’onda di tutt’altre dimensioni. La percentuale di chi ha chiesto in bonus senza averne bisogno tra i professionisti è ben più alta. Il governo, con la viceministra Castelli, si difende dall’accusa di non aver posto limiti e paletti con l’esigenza di fare presto. Sacrosanto, se non fosse che per il reddito d’emergenza, che doveva sostenere i poverissimi ed era già stato ridotto a 400 euro una tantum, i paletti sono stati invece moltissimi. Tanto che solo un terzo della platea prevista ha potuto accedervi.