Visioni

Bonnie Prince Billy, tutti i colori di una voce

Bonnie Prince Billy - foto di Michele FalianiBonnie Prince Billy – foto di Michele Faliani

Live Il tour italiano dell'artista americano, tra antiche memorie folk e ombre di country usate come cornice all’interno della quale dipingere bozzetti di canzoni fragili e monumentali

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 19 maggio 2024

Tour italiano per Will Oldham, al secolo Bonnie Prince Billy, il suo alias più prolifico, col quale ha iniziato a pubblicare al tramonto del ventesimo secolo, da sempre a metà del guado tra antiche memorie folk e ombre di country usate come cornice all’interno della quale dipingere bozzetti di canzoni fragili e monumentali sulle gioie e i fallimenti della vita. Capace di dare colori molto diversi ai suoi pezzi, spaziando da arrangiamenti scabri a vesti più sfarzose, negli anni ha sempre mantenuto costante l’intenso potere emotivo e letterario delle sue composizioni, assurte oramai a canone contemporaneo della roots music. L’artista nativo di Louisville, Kentucky, con una carriera cinematografica alle spalle, ha pubblicato ad agosto 2023 Keeping Secrets Will Destroy You, il ventunesimo e  primo lavoro a suo nome da quattro anni a questa parte. Il concerto, nel magnifico scenario del teatro Farnese del capoluogo emiliano, raduna una folta platea di appassionati, che rispondono con entusiasmo a una lunga teoria di canzoni suonate in punta di dita dal trio (chitarra acustica, clarinetto, sassofono, flauto gli strumenti coinvolti).

DA UNA COVER di Phil Ochs a un ricordo di Steve Albini, amico di una vita, omaggiato con I See A Darkness, un vero e proprio classico, tanto da essere interpretato anche da Johnny Cash, l’autore sciorina arte, carisma attoriale e un’interpretazione grondante dinamica e dettagli, che rendono giganti composizioni all’apparenza piccole, sottovoce, sottili, in cui sono l’intenzione, il modo di porgere la voce e l’intima poesia a fare la differenza. Difficile descrivere il segreto che si annida in questi pezzi; bisogna esserci e vederlo dal vivo, disinvolto e informale, lirico e ironico. “Qualche tempo fa ho incontrato una mia compagna di classe di quando avevo nove anni e che non avevo più rivisto. Mi ha raccontato che l’unico ricordo che ha di me è che a quei tempi mi identificavo come un ateo”. Eppure un qualche dio minuscolo e potente pare abitare nelle stanze ariose di questi madrigali, anche se “il tempo è un assassino, come i suoi buoni amici luce, amore e suono.” Oldham mesce con sapienza un distillato country-folk senza tempo: “Metà della nostra vità è andata e nessuno di noi ha agito come avrebbe dovuto”; ci sono un senso di quieta remissione e una luce nitida, quieta e trafitta, ma anche una speranza ad attraversare questi luoghi. Perla in chiusura l’interpretazione in ottimo italiano di L’ultima occasione, portata al successo da Mina nel 1965. L’impressione finale è di aver avuto il privilegio di abbracciare una sequoia secolare nella foresta della canzone americana.

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