Emma Bonino non avrebbe alcuna intenzione di dimettersi, né ci avrebbe mai pensato. Ad affermarlo sono fonti della Farnesina smentendo così l’indiscrezione riportata ieri da un quotidiano secondo la quale il ministro degli Esteri avrebbe pensato di lasciare l’incarico nelle scorse settimane, nei momenti cruciali del caso Shalabayeva e in contrasto con i colleghi dell’Interno Angelino Alfano e della Giustizia Anna Maria Cancellieri. Dimissioni che sarebbero rientrate solo dopo l’intervento del presidente del consiglio Enrico Letta. Oggi pomeriggio il ministro è atteso al Senato dove riferirà di fronte alle commissioni congiunte Esteri e Diritti umani proprio sulla vicenda che ha avuto come protagoniste la moglie e la figlia del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov. Si tratta di un’audizione attesa per molti motivi, primo fra tutti perché la Farnesina, nonostante il ministro abbia dichiarato di essersi attivata non appena saputo della deportazione in Kazakistan di madre e figlia, non abbia messo in pratica nessun atto formale nei confronti del governo kazako e del suo rappresentante a Roma, l’attivissimo e fin troppo ben introdotto negli uffici del Viminale e della Questura, Andrian Yelemessov. Ma anche perché lunedì scorso da Bruxelles, dove si trovava per il vertice dei ministri degi esteri Ue, si è lasciata andare a dichiarazioni che ai più sono sembrate vere e proprie accuse nei confronti del Viminale e del ministero della Giustizia. Sul caso Shalabayeva «ci sono ancora troppi punti oscuri che altre istituzioni dovrebbero chiarire», ha detto prima che una nota della Farnesina annacquasse il tutto spiegando che il ministro si riferiva all’operato dello stesso ministero degli Esteri. Su un punto, comunque, Bonino insisterà senza equivoci: la totale estraneità della Farnesina al rimpatrio della Shalabayeva e di sua figlia Alua. Una vicenda che inevitabilmente rischia adesso di diventare un caso internazionale più di quanto non lo sia già. Ieri si è infatti saputo che anche l’Austria indagherà sul rimpatrio forzato di mamma e figlia. Su denuncia della famiglia Ablyazov la procura di Vienna avrebbe infatti aperto un’inchiesta in cui si ipotizza il reato di sequestro di persona. All’origine della decisione c’è il fatto che l’aereo utilizzato dall’ambasciata kazaka per deportare Alma e Alua apparteneva alla compagnia Avcon, battente bandiera austriaca. Il presunto reato si sarebbe quindi cosumato in territorio austriaco. La Spagna ha invece dato il via libera all’estradizione in Kazakistan di Alexander Pavlov, braccio destro ed ex responsabile della sicurezza, nonché amico, di Ablyazov. Pavlov è accusato di terrorismo e truffa. «Non ci sono gravi motivi di persecuzione politica» e il kazakistan ha offerto garanzie che non sarà sottoposto a maltrattamenti, hanno spiegato i giudici dell’Alta corte Angelo Hurtado, Julio de Diego e Clara Bayarri. Pavlov è stato arrestato in Spagna a dicembre del 2012 ma pur rifiutandogli l’asilo politico, ad aprile una prima richiesta di estradizione era stata respinta. Anche se adesso Madrid ha fatto marcia indietro, impossibile non notare come siano passati ben sette mesi prima che i giudici decidessero di accogliere la richiesta di Astana e solo dopo aver ottenuto garanzie sul trattamento che riceverà l’imputato. Un comportamento molto diverso da quello del Viminale, che in fretta e furia ha espulso come clandestine la moglie e la figlia di 6 anni di un oppositore del regime kazako.