La ministra Bonino deve decretare la sospensione dell’invio di armi e promuovere un’analoga iniziativa in sede europea. Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) scandisce: «I paesi che vendono le armi a chi spara sulla popolazione hanno una grave responsabilità politica».

È legale vendere le armi a paesi in guerra?
La legge italiana 185/1990 vieta esplicitamente l’esportazione «verso paesi in stato di conflitto armato» o verso paesi «responsabili di gravi violazioni in materia di diritti umani». Anche il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato una «posizione comune» nel 2008 (2008/944/PESC) che va nella stessa direzione. Ma come spesso accade, l’accertamento ufficiale di queste condizioni ricade su organismi internazionali come l’Onu, che sono bloccati da veti incrociati. Quindi vendere diventa una scelta politica.

Districarsi fra i dati sulle esportazioni è complesso.
Una delle due principali fonti è il Sipri, Stockholm International Peace Research Institute, che però dà una valutazione solo sulle armi pesanti – elicotteri, carri armati, missili, eccetera – e dà stime conservatrici sui contratti firmati ufficialmente. Poi c’è relazione annuale dell’Unione Europea, che raccoglie quelle di tutti i paesi. Anche gli Usa presentano una buona relazione annuale, mentre altri paesi come India, Russia o peggio ancora Cina non sono per niente trasparenti.

Quali sono quindi i paesi che esportano più armi verso l’Egitto?
Secondo i dati Sipri certamente Usa e Russia. Ma le esportazioni italiane sono in costante crescita. Nel 2010 le autorizzazioni del governo non superavano i 10 milioni di euro. Nel 2011 erano già oltre 14 milioni. Nel 2012, col governo Monti, eravamo quasi a 25 milioni. Le autorizzazioni danno un segnale politico: il governo «certifica» che il paese a cui si vuole vendere è affidabile. In quel momento c’erano scontri in strada prima della caduta di Mubarak. Con una situazione ancora instabile, si sarebbe dovuto valutare che tipi di sistemi di arma esportare. Un cannone navale, un’arma pure venduta dall’Italia, serve a uno stato per difendersi, ma i fucili o i lanciagranate si usano contro la popolazione. Anche le consegne effettive sono state altissime: nel 2012 hanno superato i 28 milioni di euro. E nei primi tre mesi del 2013, secondo l’Istat, sono già state esportate armi, soprattutto fucili d’assalto, e munizioni per oltre 2,6 milioni di euro. Su questo ha appena presentato un’interrogazione alla camera Arturo Scotto, capogruppo di Sel alla commissione Esteri.

E gli altri paesi?
Nel 2011 la Francia aveva autorizzato 108 milioni, ma ne hanno consegnati meno di 10. La Spagna ha autorizzato 80 milioni, di cui 70 consegnati, ma sono soprattutto aerei da trasporto militare, certifica il Sipri, quindi non armi contro la popolazione. La Germania ha autorizzato 74 milioni ma nel 2011 non ha fatto nessuna consegna.

Fermare l’esportazione oggi servirebbe a qualcosa?Una dichiarazione della ministra Bonino sarebbe importantissima, lancerebbe un segnale politico inequivocabile. E anche gli altri paesi dovrebbero fare altrettanto.