Il governo Letta non ha reintrodotto la figura del Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione accanto a quella del Ministro degli Esteri. Un segno di saggezza istituzionale, dato che è ancora molto fresca la memoria del fatto che, nella passata compagine governativa, si era creato un bicefalismo imperfetto che ha prodotto una competizione esiziale tra la Farnesina e il ministro (senza portafoglio e senza ministero) della cooperazione e integrazione, del quale sino alla fine del mandato non sono state chiarite né le effettive prerogative né formalizzate le dovute deleghe. Questa situazione sciagurata ha prodotto delle vistose incongruenze, prima tra tutte la mancata riforma della legge 49 che, dal lontano 1987, regge le sorti di quel fondamento della politica estera che dovrebbe essere la cooperazione allo sviluppo. I veti incrociati tra ministeri, infatti, hanno di fatto bloccato il lavoro parlamentare introducendo punti di vista opposti e inconciliabili.

L’argomento del contendere era molto chiaro: di chi è la titolarità della cooperazione internazionale? Per equilibri interni ai tecnici si giunse ben presto all’empasse e all’approfondirsi di una lacuna oramai scavata da una annosa mancanza dei fondi e della volontà politica di riformare questa materia.
Dopo la parentesi del Governo Monti e lo scontro tra Terzi e Riccardi, la cooperazione torna dunque alla Farnesina. Ora dobbiamo chiedere alla Ministra Bonino, che da Commissario europeo ha creato il servizio per gli aiuti umanitari Echo, di trovare il coraggio politico di coordinarsi col Parlamento su questa delicata riforma e di chiarire i reciproci ambiti di competenze senza ripercorre gli inutili protagonismi dei due predecessori.

L’urgenza è tutta nei numeri. Ricordiamo, se ce ne fosse bisogno, che oggi l’Italia è maglia nera rispetto agli impegni Onu per quanto concerne gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, con un budget dello 0,1 % del Pil a fronte di una media Ocse dello 0,3 e di un promesso 0,7 %, il che rende il paese non affidabile in sede internazionale tanto quanto eventuali sbilanci nei conti pubblici.

Dunque il primo compito di Bonino sarà certamente quello di riportare il Paese alla soglia di credibilità internazionale triplicando il budget per la cooperazione. Questo accrescimento di risorse serve a riportare l’Italia ai tavoli che contano in sede multilaterale, e riaprire le prospettive politiche verso tutti quei Paesi con i quali, non lo dimentichiamo, spesso la cooperazione è l’unica forma di politica estera che si può equamente sostenere. Ma, ancor prima dei nuovi impegni, vanno onorati i vecchi. Un solo esempio per tutti: siamo in forte debito con il Fondo di lotta all’Aids, tubercolosi e malaria. Per colpa dei nostri ritardi non solo siamo stati estromessi dal Board del Fondo, ma rappresentiamo un peso insostenibile per le sue attività . Anche l’Europa comunitaria ci chiese di fare la nostra parte, ma il precedente Governo non si scompose, troppo preso dalle promozioni dei propri tecnici già intenzionati a «salire» in politica.

Infine, dove trovare le risorse? Torna qui l’antico dilemma: volete burro o cannoni? Ovviamente la risposta, e non solo quella delle Ong internazionali, è chiara: più aiuti allo sviluppo, meno bombardieri inutili e costosi. Sono 25 anni che aspettiamo questa riforma, vedremo se le larghe intese ed una ministra radicale produrranno qualcosa di valido o se si profila una mostruosa eterogenesi dei fini come risultò nel lontano 1985 con il Fai, Fondo Aiuti Italiani, che spese sotto la spinta iniziale dei radicali 1.900 miliardi di lire (sì, avete letto bene) in 18 mesi per sconfiggere la fame nel Corno D’Africa, gestiti però dai socialisti di Craxi.