Antonello Correale, membro della Società Psicoanalitica Italiana, ha inviato una lettera accorata a Francesco Bollorino, Editore di Psychiatry on line, sito di qualità nel panorama dell’informazione che parte dalla cura.

Lo stimato psicoanalista esprime tutta la sua angoscia per le tragedie del mare: morti annegati, famiglie divise, bambini e adolescenti separati dai genitori. Lo colpisce l’indifferenza e la fase successiva ad essa: l’odio è la ripulsa.

Per Correale c’è il pericolo di un vasto crollo etico «che non è giustificabile col discorso politico».

La causa, secondo la sua analisi non è il timore dell’invasione, né il razzismo, ma l’odio per il disperato, il povero, l’inerme, la paura di diventare come lui. In realtà questa paura è solo uno degli incentivi del razzismo, il vero problema: la difficoltà di stabilire una relazione profonda, significativa di scambio con l’altro, l’indecenza delle condizioni della vita comune che porta tutti, ricchi e poveri, a distruggere nell’oggetto discriminato la parte desiderante di sé, resa impotente e perciò odiosa.

L’indifferenza è la conseguenza, prevedibile, della dissoluzione delle relazioni di desiderio che abbiamo consentito.

Sul piano dei bisogni, da consumare in modo automatico, immediato – il fondamento del mondo produttivo di oggi -, le relazioni non sono significative né per chi discrimina/sfrutta, né per chi (indigeno o migrante) è sfruttato/discriminato.

Chi si differenzia, denunciando l’anestesia psichica, non può considerarsi incontaminato dall’assenza di cultura del vivere in cui è immerso, ne fa, malgrado se stesso, parte.

L’errore da non commettere è innamorarsi delle proprie posizioni etiche in una battaglia di soli principi contro l’imbarbarimento.

L’idea di un’etica che esiste al di fuori degli scambi, e del lavoro del lutto che essi rendono possibile, come valore a sé stante, una medicina da prescrivere, è omologante. Favorisce il processo di conformazione che abolisce la profondità psicocorporea dell’esperienza e il gioco delle trasformazioni delle relazioni.

Ciò che resta sono differenze in superficie, la falsificazione del rapporto con la realtà in cui l’aggressività offre la falsa sensazione di vitalità.

L’indignazione e la denuncia, sono, al di là delle intenzioni, risposte ugualmente automatiche e impulsive: intensificano i sentimenti di rassegnazione e di impotenza, diventano, come tutti gli espedienti auto-consolatori, il materiale levigato che lastrica le strade dell’inferno. Confluiscono nella sub-eccitazione dominante in senso antidepressivo la psicologia collettiva e nella finzione dei sentimenti (inclusa la demagogia) che essa produce.

La società civile crea le condizioni etiche della Polis, perché sul piano del discorso culturale e politico, che fonda la democrazia, il lavoratore, il filosofo, lo scienziato, l’artista, pari sono. Senza la partecipazione paritaria dei cittadini, fondata sul desiderio di esserci, il discorso politico è nullificato.

Nel campo progressista abbiamo assistito, per troppo tempo, a rendite di posizioni mediatiche. Alcuni gruppi di «opinionisti» si sono aggiudicati un privilegio di monologo che ha abolito la libertà di parola. La loro forza impositiva è andata di pari passo con la povertà delle loro analisi retoriche.

Prima di ogni bel discorso bisognerebbe ricostruire la società civile e la libertà/parità delle relazioni che esiste solo nell’articolazione politica di una moltitudine di realtà “conviviali”: dove il «tu», l’«io», il «noi» hanno ancora un senso condiviso e personale.

L’agorà non è un megafono, i pensieri non si vendono come le scarpe o i dentifrici.