“Nessuna integrazione verticale tra l’Ilva e la Lucchini, ma solo temporanea e se il mercato riparte. In questo caso si può pensare a Piombino, in una funzione di supporto a Taranto”. Con l’abituale durezza, Enrico Bondi ha buttato un secchio di acqua gelata sulle aspettative di operai e sindacati delle Acciaierie, appesi al filo di una sinergia fra i due poli siderurgici per evitare la chiusura definitiva del loro altoforno. Viste le parole del commissario governativo dell’Ilva, rischia di trasformarsi in un dibattito surreale l’incontro di oggi alla festa piombinese del Pd. E sì che a discutere di “Politica industriale in Italia: il caso della siderurgia”, sono chiamati Susanna Camusso, il sottosegretario Claudio De Vincenti e il parlamentare-giornalista Massimo Mucchetti, insieme a Matteo Colaninno, al sindaco Gianni Anselmi e al segretario toscano democrat Ivan Ferrucci.

Soprattutto Mucchetti e Colaninno, visti i rispettivi ruoli di presidente della commissione industria di Palazzo Madama e di responsabile economico Pd, dovranno spiegare quali siano gli oscuri motivi che impediscono al governo Letta di agire per salvare la capra tarantina e i cavoli della Val di Cornia. All’esecutivo delle larghe intese fanno capo infatti sia Enrico Bondi che il commissario della Lucchini, Piero Nardi. Di più: lo stesso ministro allo Sviluppo economico Flavio Zanonato a inizio agosto ha rilanciato la sinergia tra Ilva e Lucchini. Osservando che a Taranto ci sono altiforni fermi, e che quindi si potrebbe compensare la minor produzione tenendo in attività quello di Piombino.

Il ragionamento di Zanonato è lo stesso degli operai delle Acciaierie e di Fiom, Fim e Uilm. Così, di fronte a quella che per il commissario Nardi è l’ipotesi più concreta per salvare la Lucchini – realizzare un forno elettrico, con almeno mille tute blu a casa – la Rsu e i sindacati insistono: la vita dell’altoforno va prolungata, il cuore dello stabilimento non può essere fermato a novembre. Neanche per un po’, come ha proposto Nardi, perché i costi di riattivazione sarebbero alti. E lo stop darebbe un preciso segnale politico all’intero comprensorio. Opposto, va da sé, allo striscione affisso a una delle rotatorie di ingresso in città: “Piombino non deve chiudere”.

Alla necessaria sinergia con l’Ilva almeno fino al 2015 – Bondi (e governo) permettendo – Fiom &c. accompagnano uno sguardo verso il futuro. Hanno preso contatti con la Siemens Vai, che il 10 settembre invierà a Piombino propri tecnici per illustrare il funzionamento degli impianti a tecnologia Corex, di cui la multinazionale detiene il brevetto. Rispetto all’altoforno, il Corex promette una riduzione dei costi di circa il 20% e vantaggi ambientali, vista l’eliminazione della cokeria e la riduzione degli inquinanti. Sull’altro piatto della bilancia gli investimenti per la riconversione, il tempo per i lavori (almeno tre anni), e la variabile del prezzo del gas necessario per le produzioni. Ma alternative, vista la vetustà dell’altoforno, non ce ne sono.