Con la giacca grigio scuro e la camicia aperta nei primi due bottoni Stefano Bonaccini affronta la prima conferenza stampa dopo la notte elettorale. Un presidente praticamente dimezzato, visto che alle urne è andato il 37,68% dell’elettorato rispetto al 68% delle elezioni regionali del 2010 e al 69% delle ultime europee. E per fortuna che arriva una minima autocritica: «Commisi un errore anch’io a sottovalutare la rapidità delle decisioni che dovevamo prendere», dice Bonaccini a proposito dei tentennamenti di agosto sulla sua candidatura. «C’era l’ipotesi – ha detto – di una mia guida all’organizzazione del Pd.

Ma sarebbe servita più rapidità e so che qualche mio tentennamento ha dato l’idea di una mia non convinzione di dedicarmi all’Emilia-Romagna». Dopo aver passato tutta la notte a dire che l’astensione c’è stata ma che la sua è stata una netta vittoria, come del resto stava twittando il presidente del consiglio, riconosce che «dovrà triplicare gli sforzi per creare una legislatura che ricostruisca un rapporto di fiducia con chi non è andato a votare».

Il Pd ha perso in regione 700 mila voti rispetto alle ultime europee. Nonostante questo è il primo partito della regione e non ha certo bisogno di Sel, in coalizione e premiata per questo con due consiglieri, per avere la maggioranza assoluta. L’altra brusca frenata è stata quella del Movimento 5 Stelle; Giulia Gibertoni si è fermata al 13,3%. Nella regione dove Grillo ha fatto le sue migliori prove di forza, dal Vday alla Woodstock a 5Stelle, il movimento non cresce e arretra ma in casa grillina c’è comunque soddisfazione per i cinque consiglieri che andranno in Regione e che con la Lega «faranno un’opposizione durissima».

A festeggiare ieri c’era ancora Alan Fabbri, il sindaco leghista di Bondeno, che ha percorso tutta la regione col leader della Lega Nord Matteo Salvini, e ha riportato la Lega Nord a sfiorare il 20%. Il Carroccio ha cannibalizzato i voti di Forza Italia tracollata all’8,4%. È la Lega, nella versione lepenista, il nuovo volto della destra anche in Emilia Romagna. Staremo a vedere se l’atteggiamento sarà quello più pragmatico e bonario che Fabbri ha mostrato finora come sindaco (anche nella ricostruzione post terremoto) o se invece inserirà senza riserve la marcia salviniana. Per ora non ha ancora deciso se rimarrà a fare il sindaco o se approderà nell’aula del consiglio regionale. Anche in questo caso, ha spiegato ieri, «la decisione la prenderà con Matteo Salvini».

A sinistra del Pd, l’Altra Emilia Romagna ottiene comunque un risultato: manda il giuslavorista Piergiovanni Alleva tra i banchi dell’assemblea e scende al 3,7% rispetto al 4% che l’Altra Europa con Tsipras aveva conquistato alle elezioni europee quando c’era Sel. «La gente ha votato pensando a Renzi, e questa astensione di massa è un segnale proprio verso il premier e le sue politiche sul lavoro – ha detto Alleva – Ora sul Jobs act cambi strada perché questo è stato un voto, direi uno sciopero, contro il governo».

Ma cosa è successo nella regione culla della partecipazione dove le urne sono sempre state frequentatissime? L’inchiesta sulle «spese pazze» può essere tra le spiegazioni come certifica anche l’analisi a caldo dell’Istituto Cattaneo. In ogni caso il voto del 2014 segnala come l’eccezionalità emiliano-romagnola di partecipazione alla vita politica «si sia quantomeno bruscamente interrotta». Indicazioni interessanti emergono dall’analisi dei risultati a livello provinciale che l’istituto bolognese ha svolto. Storicamente all’interno della regione era possibile individuare alcune province stabilmente più astensioniste – Parma, Piacenza, Rimini – rispetto alle altre. Il voto di domenica ha avuto come effetto una omogeneizzazione dei risultati. In termini numerici il «partito degli astenuti» era nelle regionali del 2010 pari alla metà dell’insieme dei voti validi e di poco superiore ai voti ottenuti dal Partito Democratico.

Per la prima volta è avvenuto il sorpasso: oltre 2 milioni e 150 mila elettori hanno disertato le urne, contro circa 1 milione e 200 voti validi. Inoltre, il peso degli astenuti risulta ben 4 volte maggiore rispetto a quello del Pd (con i suoi 535 mila voti). «Un dato eclatante» per il Cattaneo. Bonaccini ha riconosciuto che l’astensione tra gli elettori del Pd è stata sicuramente alta. Il segretario regionale della Cgil Vincenzo Colla, che durante lo sciopero regionale del 16 ottobre urlava dal palco che il Pd renziano stava creando dei mostri sociali, ieri ha affondato commentando l’astensione: «È un fatto senza precedenti,che dovrebbe far riflettere tutti. Mi sembra di poter dire che si tratta di un non-voto non di protesta, ma con una carica politica e sociale mai vista in questa regione». Per Colla non si può negare che «il governo ha un problema con il mondo del lavoro, con tante persone, tanti precari, che non si sentono rappresentate dalle politiche dell’esecutivo Renzi».