La vittoria del centro sinistra e di Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna rappresenta effettivamente quel che scrivono tanti commentatori democratici e di sinistra: la tenuta del fronte progressista in una regione-simbolo del nostro Paese.

Quindi la sconfitta di Salvini e della sua destra arrogante e parasquadrista, la tenuta del governo che, per quanto fragile e di limitate ambizioni, costituisce l’argine al peggiore esecutivo di destra che potremmo immaginare nella storia della Repubblica.

Tuttavia, una volta “salvato il soldato Ryan,” disperso per il momento il nemico, bisogna uscire dalle trincee e guardare in faccia chi abbiamo difeso per necessità. E’ una operazione indispensabile, innanzi tutto per ricordare che proprio attraverso questi passaggi elettorali, per accettare cioè ogni volta il male minore, una parte rilevante di cittadini, ha favorito l’arretramento culturale e politico della sinistra, fino a che essa non ha perso quasi tutti i suoi valori originari.
Ma la salvezza della cittadella assediata ci consente oggi di dire quel che non si poteva dire sino a qualche giorno fa. E soprattutto ci offre l’opportunità di rivolgere un discorso molto franco al popolo delle Sardine. Occorre ricordare che se il centro sinistra ha rischiato di perdere l’Emilia Romagna non è stato per un incomprensibile spostamento a destra degli italiani, ma perché quella che era stata la sinistra di questo Paese ha trascinato il suo elettorato e parte del nostro popolo su posizioni sempre più di destra. Ce ne da un saggio in questi giorni Tomaso Montanari col suo Dalla parte del torto (Chiarelettere).

Ma noi possiamo qui ricordare più specificamente il caso dell’Emilia Romagna di Bonaccini, la cui amministrazione – come accade da tempo in tanti comuni della regione – si allontana dalla tradizione popolare che ha fatto di questo territorio del paese un caso di studio di democrazia e di partecipazione popolare unico in Europa. Il piano territoriale e paesaggistico di questa regione testimonia l’arretramento culturale legato a una vecchia visione sviluppista piegata al mondo degli affari. Si veda, a cura di I.Agostini, Consumo di luogo, Neoliberismo nel disegno di legge urbanistico dell’Emilia -Romagna (Pendragon)

Ma qui vogliamo rammentare che Stefano Bonaccini fa parte della pattuglia dei presidenti del Veneto e della Lombardia che rivendicano la realizzazione della cosiddetta “autonomia differenziata”. Ebbene, oggi noi sappiamo bene – grazie agli studi e alle lotte di ristrette avanguardie – che questa pretesa, nata nel Veneto leghista, è una forma di secessione camuffata. L’ha avanzata il presidente del Veneto, il leghista Luca Zaia, vale a dire il dirigente di un partito che sino al 2017 si chiamava Lega Nord per la liberazione della Padania: una Padania che non esiste sulle carte geografiche e la liberazione da un dominio che nessuno ha visto.

Durante il primo governo Conte si stavano creando le condizioni perché l’infausta legge sull’autonomia differenziata venisse realizzata nella generale indifferenza e impotenza del Parlamento e nella disinformazione dell’opinione pubblica nazionale. L’Italia, a nostro avviso, ha corso il più grave pericolo della sua storia unitaria. Se si fosse affermato il principio che Veneto e Lombardia potevano godere della potestà giuridica su 23 materie e l’Emilia su 15 e trattenere il proprio “residuo passivo”, lo stato sociale nazionale sarebbe andato in frantumi e la compagine unitaria si sarebbe trasformata in una competizione perpetua fra gruppi regionali alla conquista di sempre più ampi poteri, condannando il Mezzogiorno a un’emarginazione irreversibile.

Proprio nel corso di questa lotta è emersa una verità sconcertante. Negli ultimi dieci anni la ripartizione che lo stato ha fatto fra i vari territori per sostenere i servizi pubblici è avvenuta in base al criterio della cosiddetta “spesa storica”. Vale a dire che se a Reggio Emilia si spendeva una determinata somma per gli asili nidi, lo stato stanziava negli anni successivi la stessa somma. Se a Vibo Valentia non si era speso nulla perché gli asili nido non esistevano lo stato non stanziava una lira.

E’ così che nel corso del tempo alle disuguaglianze territoriali e sociali create dal mercato si sono aggiunte quelle perpetuate dallo stato, cui la Costituzione assegna il compito contrario, di rimuovere tutti gli ostacoli che si oppongono alla piena affermazione della persona umana. Lo stato italiano li ha innalzato questi ostacoli e i presidenti delle tre regioni del Nord, in diversa misura, li vorrebbero rendere permanenti.

Di recente il ministro Boccia ha cercato di contenere le pretese regionalistiche elaborando una legge quadro sui cui limiti è più volte intervenuto su questo giornale Massimo Villone. Non esiste un problema di autonomie, se non per i comuni, compressi nella loro possibilità di spesa. Il problema, sommo, drammatico, dell’Italia è la disuguaglianza. Bisogna ripartire la ricchezza, rendendo di pari qualità lo standard dei servizi (scuola, sanità, trasporti,ecc) e ripartendo il reddito.

Dunque una grandissima battaglia di giustizia sociale, che ubbidisce alla Costituzione, capace di offrire al popolo delle Sardine il più unitario obiettivo possibile di lotta. Ecco il salto che questo movimento dovrebbe compiere per conservare le proprie caratteristiche crescendo in efficacia e numero. Altrimenti potrebbe essere interpretato come un’ utile, ma effimera mobilitazione elettorale.