Catene di libertà. Per due anni rapito nel Sahel (Emi, pp. 207, euro 14) è il diario intimo di una prigionia nel deserto dove sole fa rima con sete e la sabbia si scambia il bacio con la solitudine. Allo stesso tempo è la cronaca avvincente di un rapimento e della prigionia di un missionario, Pier Luigi Maccalli, e dei suoi compagni di sventura (Luca Tacchetto e Nicola Chiacchio). Maccalli trascorre 25 mesi nella prigione del deserto dove non ci sono mura, né filo spinato, perché bastano il vuoto e il sole a scoraggiare ogni movimento.

TUTTO INIZIA il 17 settembre 2018 nella piccola cittadina di Bomoanga (circa 150 km da Niamey – Niger) quando un gruppo di uomini armati fa irruzione nella missione e prende padre Gigi che si accorge subito che non parlano la sua lingua, il gurmancé, sono peul (pastori) e non sono coupeurs de routes (banditi di strada) bensì mujaheddin. Viene caricato sopra una motocicletta e portato verso nord attraverso piste interne, sentieri, finché non arriva in un primo covo il 5 ottobre 2018 e viene incatenato. Vive sotto la stretta sorveglianza degli uomini del Gsim (Gruppo di sostegno all’Islam e ai Musulmani, Nassaratu Islam wa Muslimins).

NEL DESERTO sta ogni giorno in attesa di qualcosa che non accade, sente di essere finito in «un’immensa assurdità» dialoga con Dio, ma non sente risposta. La fatica fisica del vivere faccia a terra, le catene, gli insulti, il tempo che sembra passare inutilmente, deprimono e gettano Maccalli in una situazione di prostrazione, ma «giorno dopo giorno, mese dopo mese, racconta, il mio cuore si è riempito di tanta tristezza e amarezza . Stento a riconoscermi allo specchio. Sono sempre stato una persona gioiosa, ottimista e positiva». Un isolamento fisico e spirituale dove ogni comunicazione è interrotta. Anche Dio appare assente. Il tempo passa e Luigi pensa a tutto ciò che sta perdendo, agli impegni pastorali saltati, ai programmi, alla scuola della missione che avrebbe dovuto ricominciare, alla formazione dei maestri, alla pulizia dei pozzi, alla farmacia e poi ai bambini da portare all’ospedale di Niamey, eppure il tempo non retrocede. Il silenzio diventa sovrumano: «quello che pesa di più è il silenzio di Dio è con Dio il mio più grande combattimento: perché mi hai dimenticato». Poi ci sono dei fatti delle «casualità» che fanno crescere la fiducia, le stelle, il sole che tramonta, le parole con i compagni di prigionia (Tacchetto arriverà dopo 3 mesi e Chiacchio dopo 6) e poi ad un certo punto la radio che li rimette in connessione con il mondo.

LE PAGINE procedono con un buon ritmo dove i fatti si intrecciano ad un timbro confidenziale profondo. «Intuisco che questa prigionia è una svolta nella mia vita di uomo e di missionario». Tra video, trattative, spostamenti, cambi di guardie i mesi passano, si attende il capo Abu Naser e ad ogni sua visita sembra ci sia una svolta, ma poi tutto sembra sfumare. Vi sono vicende più grandi in cui i rapitori sono avvolti, il colpo di stato in Mali, il coronavirus, gli attentati dei gruppi legati all’Isis, tatticismi diplomatici. Padre Gigi è in una prigionia del non senso che fa scendere lacrime sul volto e nel cuore: un fiume di lava che scorre nelle viscere e brucia. Soffre, ma allo stesso tempo si-offre, cerca di essere dono. Prega, con un panno di stoffa realizza un piccolo rosario che recita ricordando ogni giorno la sua famiglia, i poveri, la sua missione, la chiesa. E come ha detto papa Francesco «noi abbiamo sostenuto te, ma tu hai sostenuto la chiesa».

Verrà liberato l’8 ottobre 2020 insieme ad altri prigionieri tra cui il capo dell’opposizione del Mali (Soumaïla Cissé): due anni per perdersi e ritrovarsi. «Il vento ostile del fondamentalismo ha disperso i valori sacri dell’ospitalità e del rispetto dell’anziano. Nelle notti ho rivisto la mia vita e rilanciato il mio sì. Le stelle sono un invito a guardare lontano e a prendere il largo».