Si chiama Omar Moctar ma è noto come Bombino, ed è a tutti gli effetti la rivelazione. Il chitarrista di Agadez grazie all’ultimo disco Nomad uscito nell’aprile 2013 per l’etichetta Nonesuch con la produzione e supervisione di Dan Auerbach dei Black Keys, si è imposto negli ultimi mesi al grande pubblico con veemenza. Una serie di circostanze più o meno fortuite hanno velocemente portato il giovane musicista del Niger -classe 1980 – all’attenzione di critica e pubblico. Fondamentale è stato l’incontro con il regista Ron Wyman che con il doc sulla cultura tuareg Agadez, The Music And The Rebellion (2011), ha di fatto lanciato il chitarrista verso la notorietà internazionale.

Bombino – lo vedremo il 21 agosto anche a Orvieto all’Umbria folk festival – è autore di un desert rock-blues accattivante, in cui le melodie tradizionali della sua terra prendono nuova vita grazie ad evocazioni di marca hendrixiana e richiami netti a nomi tutelari del desert-blues come i Tinariwen. Il riferimento principale però – spiega lo stesso musicista: «È sempre stato Ali Farka Toure. Ma il mio maestro è stato Bebe Hadja, un chitarrista che vive vicino ad Agadez. Andavo a lezione da lui, aveva un libro con il quale ci insegnava i primi accordi. Poco dopo mi chiese di entrare nella sua band e per me questa fu un’esperienza fondamentale».

La storia personale di Bombino attraversa i diversi movimenti di liberazione dei Tuareg. Racconta della sua terra, che dalla fine del conflitto nel 2010 fa ancora molta fatica a riprendersi: «Prima della guerra il turismo era un affare importante per molti dalle nostre parti, io stesso ho lavorato in quel settore per un periodo. Ora non più. La disoccupazione della mia generazione ha raggiunto cifre altissime, vicina al 90%. Si riesce ancora a lavorare un poco con il commercio interno e non con quello estero, perché mancano le strade e le infrastrutture».

Nelle canzoni Bombino parla del desiderio di pace e anela a un ritorno alla normalità: «il passato non va dimenticato ma bisogna andare avanti». Lui è il musicista di riferimento della sua gente e non caso nel 2010 è stato chiamato dal sultano di Agadez a esibirsi davanti alla Grande Moschea della città, a sugello della pace ritrovata in Niger. Un paese che vive ancora nel rispetto delle tradizioni: «Per noi è importante rimanere assieme, giovani ed anziani, nello stesso luogo. Non ci sogneremmo mai di allontanare i nostri vecchi, come accade in Europa.», ma che guarda al presente: «Pur se lentamente i cambiamenti, arrivano anche da noi del deserto…».