A Daniela di Sora, amica e interlocutrice fondamentale per la conoscenza della letteratura dell’Est Europa e soprattutto fondatrice appassionata della casa editrice Voland – prende il nome dal protagonista diabolico, Satana in persona del romanzo di Bulgakov Il maestro e Margherita – che nel 2024 festeggerà i suoi 30 anni di edizioni straordinarie di letteratura russa, ucraina e slava (e non solo), abbiamo rivolto alcune domande sulla tragedia incorso con la guerra in Ucraina.

Stanno bombardando Odessa, non la scalinata e il centro storico, ma la grande periferia. Oltre alle vittime civili – per una strage cominciata in quella città con il rogo della Casa dei sindacati nel 2014 – è in corso anche una strage della memoria non facilmente distruttibile della storia dei due popoli. Per lo scrittore bulgaro Gospodinov (Voland ne ha pubblicato tutte le opere) i russi «stanno bombardando il loro stesso passato»… Che ne pensi?
Penso che la memoria sia una cosa strana, difficilmente ricordiamo tutti allo stesso modo un passato, la memoria è selettiva, esistono milioni di memorie, come milioni di individui… Per me ad esempio l’11 settembre non è solo quello del 2001 e delle Torri Gemelle, per me l’11 settembre è anche il presidente cileno Allende democraticamente eletto che nel 1973 impugna un fucile per difendersi dai golpisti. E per me Odessa è Babel’, è Bulgakov. E soprattutto penso che la memoria debba essere salvata, pezzo per pezzo. A tutti i costi, sempre.

Con la visione «Russkiy Mir», il mondo russo di Putin, sono i carri armati a definire la «proposta» culturale che russifica a forza quello che appartiene, come immaginario, ai due popoli e al mondo. Che fine farà dopo questa guerra fratricida nella memoria collettiva dei russi e degli ucraini lo straordinario archivio degli autori di Odessa come Isaak Babel’, Il’f e Petrov, Jurij Olesa, Eduard Bagricky e la sua «Ultima notte»?
Non saranno i carri armati russi a russificare il mondo, paradossalmente possono ottenere solo l’effetto contrario: spingere il resto del mondo a odiare la lingua, la musica, la cultura russa. Effetto altrettanto devastante e perverso.

Allo stesso tempo appare grave che le autorità ucraine, in risposta all’escalation russa, avviino non solo una de-sovietizzazione di emblemi e monumenti – azzerando quel che resta della vittoria contro l’invasione nazi-fascista dell’Urss e accreditando una narrativa nazionalista che sfiora il revisionismo storico con la celebrazione di antisemiti come Bandera -, ma lancino l’obiettivo di mettere all’indice la musica russa nata dopo il 1991 e di mandare al macero in questo momento 100 milioni di libri solo perché in russo. È questo che fermerà l’avanzata di Putin? Non è invece un’iniziativa scellerata e insieme controproducente per la stessa Ucraina che si vuole democratica?
Trovo inquietante in genere la cancel culture e tantomeno il revisionismo storico che preveda di proibire le lezioni su Dostoevskij, impedire a Gergiev di dirigere alla Scala… Posso tornare solo a quanto dicevamo prima: la memoria va salvaguardata, la cultura è memoria e la nostra cultura non prevede fatwe. Per fortuna a nessuno verrebbe mai in mente di impedirci di leggere scrittori come Celine e Cioran. Mettere al bando la musica russa nata dopo il ’91? E perché poi proprio dopo il ’91? Che simbolo è il ’91? Dunque è stato El’cyn il presidente più pericoloso? Certo potrebbe essere anche questa una chiave di lettura interessante, secondo alcuni studi le privatizzazioni ultraliberiste di El’cyn hanno provocato la morte di circa un milione di persone, e molti vedono in Putin e nel putinismo proprio una reazione sfrenata all’occidentalizzazione imposta.

Verranno mandati al macero non solo vecchi manuali scolastici e amministrativi, ma i capolavori letterari e poetici di Pushkin, Tolstoj, Dostojevski,, Gogol e dello stesso Bulgakov. Forse perché poco anti-russi e poco filo-ucraini? Ma sono autori che hanno rappresentato la cultura e la formazione critica dell’Europa e dell’Occidente intero. Come mai non protesta nessuno e l’Unesco non dice: acquistiamo noi quei libri, non distruggeteli? Ha dunque vinto la «diavoleide» del «Voland» di Bulgakov?
La notizia è velocemente scomparsa (se mai era apparsa) dai giornali – ha fatto eccezione il Corriere della Sera che gli ha dedicato una pagina allarmata. E comunque si commenta da sé, nella sua stupidità, non trovo altre parole. Non posso rispondere per gli slavisti in generale, né tantomeno per l’Unesco. Posso solo dire che io mi sottraggo a una logica che preveda la pubblicazione o no di un’opera in base alla nazionalità dell’autore. E dunque continuerò a pubblicare autori russi e ucraini, e serbi, e croati, e sloveni e bulgari… Pubblico da sempre pericolosi sovversivi russi come Solzenicyn, Cvetaeva e Gogol. E il pericolosissimo Radiscev, con il suo Viaggio da Pietroburgo a Mosca, libro che secondo alcuni critici costò all’imperatrice Caterina più di una guerra persa. Pubblico l’ucraino Zhadan, che scrive in ucraino e l’ucraino Nikitin che scrive in russo. A breve farò uscire anche l’edizione completa di Le dodici sedie, degli ucraini Ilf’ e Petrov che scrivevano in russo anche loro, per una eternità censurata dai sovietici. Cerco di pubblicare buona letteratura, e la buona letteratura è quella che stimola il pensiero e che fa nascere delle domande. Che apre la mente. Pensate a che paradosso sarebbe far tornare autori come Solzenicyn, Aleskovskij, Achmatova a essere letti nella loro lingua solo di nascosto, magari in samizdat’.