Washington e Mosca tornano al tavolo negoziale per finalizzare la loro strategia comune in Siria in merito al taglio degli asset finanziari dei jihadisti. Il tema era stato già discusso al G20 di Antalya dello scorso mese ma fin qui Stati uniti e Russia sono andati in Siria in ordine sparso e hanno ottenuto davvero poco nella loro guerra contro i jihadisti.

Negli ultimi giorni la guerra per procura ha preso la forma di attacchi alla rinfusa di Francia, Israele, Gran Bretagna: sulla carta tutti vorrebbero debellare lo Stato islamico (Is) ma in pratica a nessuno fa comodo che sparisca del tutto.

Gli aerei da caccia della Royal Air Force (Raf) britannica hanno eseguito la seconda missione in Siria dopo il via libera del parlamento, nonostante l’opposizione del leader laburista, Jeremy Corbyn. Due aerei Tornado e due Typhoon avrebbero colpito pozzi petroliferi, gestiti da Is. Il ministro della Difesa britannico, Michael Fallon, ha visitato la base britannica di Cipro da dove partono i raid. Fallon ha incontrato i militari inglesi e assicurato che la missione non sarà «né breve né semplice».
Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, è tornato invece sul futuro del presidente siriano Bashar al-Assad e ha assicurato che le sue dimissioni non sono più una priorità.

Nei colloqui in corso a Vienna si è discusso di un possibile avvicendamento ai vertici in Siria dopo una fase di transizione di sei mesi, come auspicato dagli Stati uniti.

Ma il fronte di guerra si è spostato anche verso la Libia dove il 20 e 21 novembre scorsi Francia e Stati uniti hanno ammesso di aver compiuto raid anti-Is. Molti jihadisti in fuga da Raqqa si sono rifugiati a Sirte e Agedabia.

In particolare nella cittadina strategica fra Sirte e Bengasi, si è registrata una serie impressionante di omicidi mirati da Mohamed Hassoun Mughrabi, comandante della brigata 302 dell’esercito libico, a Salah al-Mascheti, del consiglio comunale di Agedabia, dall’imam Saleh Rahil al capo dell’Intelligence militare, il colonnello Ateya al-Oreibi.

Da parte sua, la Turchia non si è accontentata di bombardare Qandil nel Nord dell’Iraq per annientare il partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) che qui ha le sue basi. Venerdì Ankara ha inviato 150 militari nella provincia di Mosul nel Kurdistan iracheno con l’avallo del leader del partito democratico del Kurdistan (Pdk), Massud Barzani, che ha sempre lasciato fare ai turchi quello che volevano pur di limitare i comunisti del Pkk e l’estensione irachena del partito (Goran). I peshmerga sono sempre stati l’esercito di terra degli Stati uniti a partire dalla guerra in Iraq del 2003 e di nuovo nel 2014 per dare una mano essenziale all’improvvisata coalizione internazionale anti-Is. Ma questa volta il governo di Baghdad è insorto per bocca del premier Haider al-Abadi, appoggiato da Tehran, che ha definito l’ingresso dei militari nella provincia di Ninive una «violazione della sovranità irachena» e ha chiesto l’immediato ritiro. Lo stesso ha fatto il presidente iracheno, Fuad Massum.
Il premier turco Davutoglu ha negato che il dispiegamento di militari turchi in Iraq sia in preparazione di un’operazione di terra. Il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva annunciato al G20 di Antalya l’intenzione di inviare 10mila uomini in Siria per rafforzare la safe-zone turca nel Kurdistan siriano (Rojava). Ieri gli Usa hanno annunciato anche la creazione di un aeroporto militare in Rojava.

Ma la strategia della tensione in Turchia non accenna a placarsi. Tre cortei hanno invaso le strade del capoluogo del Kurdistan turco, Diyarbakir, per chiedere la fine del coprifuoco nelle principali piazze della città. Il Dipartimento di stato Usa ha lanciato un’allerta per imminenti minacce alla sicurezza al consolato americano a Istanbul.

Le autorità turche devono fronteggiare anche la crisi diplomatica e politica con le autorità russe dopo l’abbattimento del Sukhoi Su-24 al confine tra Turchia e Siria.

Nonostante le gravi sanzioni commerciali imposte da Mosca, insieme allo stop al progetto del Turkish Stream, Ankara si è mostrata sicura di poter fronteggiare i provvedimenti russi che potrebbero costare ai turchi 5 miliardi di euro puntando sul rafforzamento dei rapporti bilaterali con Azerbaijan e altri paesi.

Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha sollecitato il dialogo con le autorità russe dopo l’incontro con il ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, che non ha portato a molto perché Ankara si è sempre rifiutata di presentare le sue scuse a Putin. I vertici militari russi hanno denunciato gli affari che turchi e famiglia di Erdogan hanno fatto con il petrolio di Is. Secondo gli Stati uniti però, il greggio contrabbandato in Turchia da Is sarebbe «economicamente insignificante».