Un’altra domenica di guerra, la terza dall’inizio del conflitto qui in Ucraina. E l’inizio di una nuova fase.

I russi l’avevano detto “considereremo obiettivi legittimi tutti i luoghi in cui abbiamo riscontrato la presenza di uomini e mezzi militari stranieri, oltre ai convogli che introducono le armi straniere in Ucraina” e in meno di 48 ore sono passati ai fatti.

All’alba oltre 30 missili da crociera sono stati sparati contro il poligono militare di Yavoriv, a circa 25 chilometri dal confine polacco, uccidendo 35 persone e ferendone 134 (dati delle forze armate ucraine, in aggiornamento). Un soffio, se si considera che superati quei pochi chilometri c’è il confine orientale dell’Unione Europea, della Nato e, forse, della Terza Guerra Mondiale.

Yavoriv, sede dell’International peacekeeping and security centre (Centro internazionale delle truppe di mantenimento della pace e della sicurezza, ndr), è un centro di addestramento del personale militare ucraino e ha ospitato anche istruttori stranieri, provenienti sia dagli Stati Uniti sia da altri paesi della Nato (in particolare, sembrerebbe, dal Canada).

Inoltre, in passato è stata usata anche come base di appoggio per alcune esercitazioni internazionali dell’Alleanza Atlantica tra le quali quelle dello scorso autunno.

Feriti all’International Center for Peacekeeping and Security di Yavoriv (Leopoli), foto di Abdullah Tevge/Anadolu via Getty Images

 

Non è difficile vedere in quest’attacco un monito del Cremlino a quell’“allargamento a est” che Mosca ha da sempre indicato come una delle cause scatenanti di questo conflitto. Infatti, fonti vicine al governo russo hanno rilanciato su molti canali la notizia che 180 “mercenari stranieri” sono stati uccisi nell’attacco di questa mattina a Yavoriv. Non solo, il governo russo ha poi fatto sapere che continuerà a uccidere quegli stranieri attualmente in Ucraina che considera mercenari.

Kiev non conferma queste cifre, anzi, senza rivelare la nazionalità dei morti e dei feriti, le autorità locali hanno fatto sapere che, nonostante in passato la base abbia ospitato anche istruttori stranieri, al momento dell’attacco questi non erano presenti in quanto richiamati in patria dai propri governi prima dell’inizio della guerra.

Com’è evidente, al momento risulta difficile ricostruire questa storia in modo chiaro e lineare. Ciò che è importante, tuttavia, è il superamento di un altro tabù: non è vero, come molti pensavano, “che le forze russe non si azzarderanno a colpire la zona di Leopoli perché troppo vicina ai confini della Nato”.

Non solo l’hanno fatto, ma tutto lascia intendere che continueranno. Forse è stata proprio questa valutazione preliminare errata ad aver fatto abbassare la guardia agli ucraini in questa zona, altrimenti non si spiegherebbe come i sistemi antiaerei non sono entrati in funzione o la base non è stata evacuata.

Sempre nell’ovest, ma a sud di Leopoli, l’aviazione russa ha colpito di nuovo l’aeroporto di Ivano-Frankivsk, a 250 chilometri dal confine con l’Ungheria e la Slovacchia, altri due stati Nato.

Secondo Ruslan Martsinkiv, sindaco della città e primo diffusore delle notizie dell’attacco, il bombardamento avrebbe avuto come scopo principale quello di “seminare panico e paura”.

La risposta degli Stati Uniti è già arrivata tramite le parole del consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan durante la trasmissione Face the Nation della rete CBS News: “La Russia dovrà affrontare una risposta della Nato se uno dei suoi attacchi in Ucraina dovesse attraversare i confini e colpire i membri dell’alleanza, anche se ciò accadesse per errore”.

Questi attacchi arrivano all’indomani di una serie massiccia di bombardamenti sulle principali città dell’Ucraina, tra le quali la già martoriata Mariupol, e sulle periferie di Kiev.

Una coppia si saluta alla stazione di Leopoli, foto di Hesther Ng/SOPA Images/LightRocket via Getty Images

 

Anche il Papa, nell’Angelus, ha denunciato la “barbarie” degli omicidi di bambini e di altri ucraini indifesi e ha chiesto di fermare gli attacchi “prima che le città siano ridotte a cimiteri”.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha poi accusato la Russia di cercare di creare nuove “pseudo-repubbliche” per dividere il suo paese.

Il riferimento diretto è a Kherson, dove da ieri si parlava di infiltrati pronti a richiedere un referendum per dichiarare l’indipendenza da Kiev. Tuttavia, il consiglio regionale oggi ha smentito quest’eventualità bocciando la mozione.

Zelensky ha concluso invitando gli oblast dell’Ucraina a non ripercorrere le orme delle repubbliche del Donbass.

Intanto, mentre le truppe russe hanno iniziato a disporsi intorno alla capitale per preparare il temuto assalto, almeno questo è quanto si crede al momento, il presidente ucraino ha fatto sapere che non ci sarà modo per i nemici di conquistare la capitale e che “la Russia avrebbe bisogno di bombardare a tappeto la città e uccidere i suoi residenti per prenderla”.

Poco dopo, si è diffusa la notizia che, dopo il sindaco di Melitopol, anche il primo di cittadino della città occupata di Dniprorudne, Yevhen Matviiv, sarebbe stato rapito dalle forze speciali russe.

Soccorritori all’opera a Kharkiv, foto Wolfgang Schwan/Anadolu via Getty Images

 

L’altra importante, drammatica notizia del giorno riguarda l’uccisione di un reporter.

Brent Renaud, videomaker americano di 51 anni, è stato freddato con un colpo al collo dai militari di guardia russi dopo un ponte nella zona di Irpin, stando a quanto riferisce Juan, un collega che era con lui e che è stato ferito in modo lieve e trasportato all’ospedale.

Dato che il giornalista aveva indosso un vecchio tesserino da giornalista del New York Times, risalente a un lavoro svolto per la testata americana nel 2015, inizialmente era stato presentato come inviato di guerra. In seguito si è saputo che Renaud era qui per suo conto con alcuni colleghi per documentare la situazione e indossava un giubbotto antiproiettile con la scritta “peacekeeper”.

Chiudiamo questa giornata sanguinosa con l’annuncio ufficiale del quarto incontro delle due delegazioni diplomatiche degli stati belligeranti che si sono date appuntamento per domani, lunedì 14 marzo.

Stando ad alcuni lanci d’agenzia che citano come fonte la Ria Novosti russa, i colloqui per via telematica tenuti in questi giorni avrebbero fatto segnare dei significativi passi in avanti e, sempre fonti russe, hanno avanzato l’ipotesi che si possa giungere a un primo accordo per il “cessate il fuoco” in due o tre giorni.

Per ora si continuano a contare i cadaveri e a cercare di evacuare i civili delle città sotto assedio rimasti senza riscaldamento e, in alcuni casi, senz’acqua.